Racconti gourmand. Dieci.
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io ti golo io ti ventro / io ti gonno / io ti giarrettiero io ti calzo io ti Bach
sì io ti Bach per clavicembalo seno e flauto…
…io ti tremo / tu mi seduci tu mi assorbi / io ti litigo
io ti rischio io ti scalo / tu mi sfiori / io ti nuoto
ma tu tu mi turbini / tu mi sfiori tu mi scruti
tu mi carni cuoi pelli e morsi / tu mi slip neri
tu mi ballerini rossi…
Lo vidi per la prima volta nel 1972 alla libreria La Hune di Parigi. Stava recitando una delle sue indimenticabili poesie muovendosi lentamente e inseguendo con le mani nell’aria le parole come se fossero farfalle. L’oralità della sua scrittura di déraciné aveva, come sempre, stregato il pubblico che lo seguiva immerso in un silenzio religioso. Fino a quel momento di lui sapevo solo che era un poeta rumeno. Devo la fortuna di averlo conosciuto ad un altro rumeno, un amico scomparso che qui ricorderò con il suo vero nome, Anton Harstein, nato in Transilvania. Parigi, com’è noto, è stata la seconda patria di un’insofferenza rumena allo Zeitgeist della mitteleuropa, da Tristran Tzara a Eugene Ionesco a Paul Celan, da Isidore Isou a Emile Cioran, da Brâncu?i a Brauner, ma Ghérasim Luca aveva dalla sua una sofferta vena yiddish che lo spingeva verso la ribellione e il sogno, verso gli inaccessibili sentieri di una libertà giocata sul filo dell’anarchia. Visse in Francia per quarant’anni sans papiers, incurante di quell’identità poliziesca che un tempo era servita al regime di Vichy per distinguere i “buoni” ariani dai “perfidi” giudei. Si congedò dalla vita e dalla sua adorata Montmartre il nove febbraio del 1994. Lasciò scritto: “…non c’è più uno spazio per i poeti in questo mondo”. Forse è vero, ma chi lo amava non lo ha dimenticato e ancora lo piange. Era nato a Bucarest nel luglio del 1913.
Quella sera intorno al tavolo chez Benoit, a due passi della Tour de Saint Jacques eravamo in una quindicina di persone, quasi tutti suoi amici. Ricordo solo Jacques Hérold, un pittore con il quale condivideva l’entusiasmo per il surrealismo e la sua compagna Micheline Catti che continua a farlo vivere nei suoi quadri con i suoi versi.
…e quando tu non tacchi alti i miei sensi / tu li coccodrilli
tu li fochi tu li affascini /tu mi copri / io ti scopro io ti invento
a volte tu ti libri (°).
Quella volta prima di lasciare Parigi comprai alcuni dei suoi libri un paio dei quali qualche anno dopo in occasione di un viaggio in Francia regalai a un altro poeta che ho amato, Corrado Costa.
(°) – Da La fine del mondo, 1969.
Traduz., Andrea Raos)
Il bistrot Benoit di questo racconto non è quello di oggi, anche se condividono lo stesso indirizzo in rue Saint-Martin e lo stesso amore per la cucina della tradizione francese. Della cena ricordo il menu – noci di conchiglie dei Pellegrini alle fave fresche, jambon doré au four su un letto di fieno con pommes soufllée, formaggi della casa e clafoutis aux fraises des bois – ma soprattutto l’Armagnac che ci offrì insieme a tutto il resto il nostro anfitrione, ristoratore per vocazione e amico della poesia per passione. Uno Château de Cassaigne vecchio di trent’anni.