Gli aforismi di Jean Anthelm (4)
La fame che fugge perché teme l’ordine naturale delle cose, costretta tra spade e crocifissi, ha sempre cercato scampo dietro le insegne del Don Quichotte..
Il pane, il vino, il cane, il cavallo e il fuoco, in breve, avevamo e abbiamo perso un universo coronato dal caldaro, dal silenzio, qualche volta dall’invettiva e dalla speranza nella socratica caverna oscura…
Si pensa il mangiare come un piacere quando in realtà non è altro che un dovere da cui ne discendono molti altri sul piano delle forme sociali.
Non si mangia né con le campane, né con le crociate, chi mangia diviene.
Dobbiamo soprattutto ai pellegrini il diversificarsi dei nostri desideri alimentari, uomini che cedendo al richiamo dei sentieri hanno contribuito a far nascere il mondo che è arrivato fino a noi. Uomini che avevano il destino nella loro testa e la paura nei loro cuori.
Che cosa cercano in cielo tutti questi ciechi, si domanda sarcastico Baudelaire? Nient’altro che del cibo. Morì troppo presto per l’avventura della Commune.
C’è qualcosa d’inquietante nel fatto che gli ultimi tre secoli della nostra storia si aprono con una stagione gastronomica.
Le scienze leccarde sono una scienza umana come altre sono esatte. La contrapposizione gioca a favore delle prime se consideriamo importante che esse riflettano la socialità.
La genuinità è, nel sistema dello spettacolo, una formula compulsiva.
Molti singolari cibi della nostalgia sono stati inventati per le demi-mondaines della cultura innamorate di uno tra i più ignobili dei sentimenti, la speranza che riforma…e noi non siamo così sciocchi fino al punto di non apprezzare i filets mignottes!
È la nascita delle dogane che ha inventato il territorio.
Etiopia, patria del caffè, fu un bambino o una donna a scoprirne i chicchi?
Camminare, sollevare, cogliere, trasportare. Una volta scesi dall’albero tutto è cominciato così.
Poi la corsa, il nuoto, la cottura. Il nuoto nelle polle termali accanto ai vulcani, rimedio alle sofferenze del vita activa.
Il garibaldino, divenuto per vantaggio personale monarchico, Francesco Crispi alla Camera si toccava i coglioni pensando a Giolitti…ma intanto che con l’altra mano salutava i giornalisti.
La fame è più veloce quando i tempi sono più lenti, ma tutto questo a poca importanza se corriamo dietro il desiderio. La trappola scatta quando ci sediamo, nel momento in cui la povertà stanziale che l’agricoltura inaugura diventa la madre di tutte le cucine di territorio imponendo l’inevitabile, cioè, le condizioni metereologiche.
Nostalgia per nostalgia e a dispetto dei presidi mercantili, chi ci restituirà le trecento e passa varietà di datteri che troneggiavano sulle bancarelle della bella città di Sumera.
Miele e sale, poi l’ebbrezza dell’idromele, non c’è voluto molto per convincere la scimmia a scendere dall’albero. Ai suoi piedi c’è un paradiso alimentare, altro che frutti e nidi di uccelli.
L’ape disegna il paesaggio trasportando il polline, trasportandolo, lo inventa a misura di Eros, in questo senso l’Eden delle api rivive nell’idromele dell’Etiopia, più che nella fragile parabola dell’alveare-forma-di-Stato.
A differenza delle arti visive la cucina è condannata a non essere mai achevée.
Chiamano naturale la decorticazione di quei artifici che ieri servivano ad identificare la qualità commerciale.
Fino a quando l’esplorazione delle terre è servita a tracciare le mappe alimentari?
Gli artifici riformatori consentono di fare del passato un’opera d’arte totale che stimola le eucarestie politiche.