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DIRE & CON.DIRE

UNO.

 

DIRE & CON.DIRE

(Salse e condimenti)

 

Le docteur avait aussi trouvé le moyen d’empêcher l’âcreté des roux, mais ce secret a eté perdu.
Honoré de Balzac.

È sempre difficile cucinare ciò che gl’altri scrivono!
Bernard Rosenthal
.

 

Le salse, considerate una “fusione” o una “saldatura”, sono la panacea più prossima alle illusioni dei preparati alchemici. Rassegnatevi. Non riuscirete mai a farne due uguali e, se siete dei dilettanti – alla lettera, quelli che fanno le cose per diletto – qualunque siano i vostri sforzi, non saranno mai uguali a quelle professionali. Ciò non toglie che, in qualche raro caso, non siano migliori.

Le ragioni sono tante, dall’inesperienza, che non vi aiuta nelle correzioni in corso d’opera, alla mancanza di attrezzature adeguate.

Oggi le salse possono essere classificate in bianche, brune e emulsionate.

Le bianche e le brune sono costituite da un roux in associazione con latte, sughi o fondi preparati per l’occasione.

Le emulsionate sono il risultato di un’associazione di tuorli d’uovo con olio, burro o panna.

Possiamo definire “madri” la salsa bianca, la besciamella, la vellutata, la bruna, detta spagnola, e la maionese.

La besciamella è il risultato dell’incontro tra un roux bianco e del latte. La vellutata amalgama un roux biondo con sugo o fondo bianco. La spagnola sposa il roux bruno con il sugo o un fondo bruno.

La prima trappola in cui cadono i dilettanti è di credere che i sughi o i fondi possano essere sostituiti con i brodi casalinghi o addirittura con quelli industriali in cui domina il glutammato.

Infine, si possono consultare tutte le ricette che si vuole, ma i cacastoppini non imparano altro che cataloghi di ingredienti!

Nous devons considérer le boeuf come l’âme de la cuisine.
Antonin Carême.

Un brodo assoluto.

In una pentola capace, meglio, in una grossa marmitta di ceramica, mettete sul fondo 300 grammi di ossa di controfiletto e sistematele in modo che il resto degli ingredienti non tocchino il fondo. Sulle ossa sistemate mezzo chilo di geretto di manzo o muscolo, 300 grammi di geretto di vitello, 200 grammi di spuntatura di coste, 300 grammi di coda di bue tagliata a tronchetti, 200 grammi di spalla, 400 grammi di scamone di manzo. Nella cucina francese sono previsti anche 300 grammi di collo di montone. Coprite a filo con acqua fredda. Cuocete a fuoco vivace e senza coprire per evitare che il brodo diventi torbido.

Dopo mezz’ora circa di cottura spostate la pentola di lato sul fornello e schiumate con un mestolo. Continuate la cottura per altri quindici minuti a fuoco medio, schiumate di nuovo. Aggiungeteci un pollo intero e pulito di circa un chilo di peso, del sale grosso in ragione di otto grammi per litro d’acqua e cinque o sei grani di pepe nero. Poi, tre cipolle rosse intere picchettate con sei chiodi di garofano, una testa d’aglio, 200 grammi di carote, 200 grammi di rape a tocchi, un sedano rapa, 200 grammi di porri, compreso il verde, tre o quattro ossa con midollo tagliate a tronchetti, un mazzetto guarnito e chiuso in una garza composto da prezzemolo, alloro, timo, maggiorana, qualche filo di erba cipollina, cerfoglio, qualche foglia di menta. Schiumare ancora e lasciar cuocere il tutto per almeno mezz’ora. A questo punto togliete dalla pentola tutto quello che vi sembra cotto escluse le carni. Aggiungeteci 300 grammi di spinacino di bue (è la parte che confina con il garretto sotto la noce, si usa in genere per fare le “tasche” o i polpettoni) e cinque o sei pomodori maturi. Cuocete ancora il tutto per mezz’ora. Recuperate quello che c’è nella pentola ed usatelo come volete, regolate il sale e filtrate il brodo.

Un suggerimento. In una tazza mettete sul fondo un paio di cucchiai di un buon vino rosso, riempite la tazza di brodo caldo, aggiungeteci un paio di grani di pepe schiacciati con una lama, infilate nella tazza una fetta di pane abbrustolito, condite con un paio di cucchiai di grana padano grattugiato e godetevi il vostro capolavoro. Il brodo si conserva in un recipiente di vetro o di coccio. Il pollo, se volete mangiatelo accompagnandolo con una salsina a base di olio d’oliva, aceto, sale pepe e qualche pilucco di cerfoglio.

Dicono le vecchie signore delle colline sul Rodano: Per un buon brodo ci vuole molta carne, poca acqua, una cottura lenta e prolungata.

 

Brodo bianco.

È una versione semplificata del brodo assoluto. Usate, come carni, ossa di vitello, qualche ritaglio di carni bianche, uno stinco di vitello, due petti di pollo senza pelle. A ebollizione schiumate e poi con gli altri ingredienti vegetali, meno i pomodori, continuate la cottura a fuoco dolce per due ore.

 

Fondo o sugo bruno

Tagliate a tocchetti un chilo di carne di vitello mista (geretto, coscia, spalla) e 300 grammi di ossa di vitello spezzate e tagliate. Sistematele sul fondo di una teglia unta con il burro. Cuocetele a fuoco vivace finche non sono dorate. In una casseruola sistemate due cipolle rosse tagliate a fettine, un paio di carote non troppo grosse tagliate a metà per il lungo, un mazzetto guarnito composto da prezzemolo, pilucchi di timo, maggiorana, una foglia di alloro, sul tutto mettete la carne e le ossa. Fate sudare le verdure, intanto deglassate il fondo della teglia con un bicchiere d’acqua nel quale avrete messo un cucchiaio di vino bianco dolce. Versatelo nella casseruola, fatelo ritirare della metà. Versate nella casseruola due litri d’acqua e a calore dolce fate cuocere il tutto per almeno tre ore. Schiumate di tanto in tanto. A fine cottura regolate il sale e filtrate il fondo con un colino, quando è freddo recuperate il grasso che è affiorato, vi potrà servire per cucinare delle uova in tegame, rifiltrate il fondo con una garza. Dovrebbe avere un colore ambrato ed essere limpido.

Fondo o sugo bianco.

Si prepara come il fondo bruno, ma senza brasare la carne e le ossa e prolungando la cottura a fuoco dolcissimo per almeno quattro ore

 

Fondo bianco (variante).

Si prepara come il fondo bianco di vitello, ma utilizzando un paio di pollastre tagliate a pezzi.

 

Fumetto.

Il fondo di pesce o fumetto si prepara con le carni di nasello, di merluzzo o di rombo che sono carni bianche e le lische di sogliola(°). In una casseruola riunite mezzo chilo di carne di pesce e mezzo chilo di lische di sogliola (mettetevi d’accordo con la vostra pescheria per recuperarle). Versateci sopra un litro d’acqua fredda, aggiungeteci mezzo bicchiere di vino bianco secco. Cuocete a fuoco medio, appena bolle schiumate e aggiungeteci due cipolle bianche affettate, un pugnetto di prezzemolo o, meglio, di radici di prezzemolo, un pugno di gambi di champignon, il succo di mezzo limone un pizzico di sale. Cuocete a fuoco dolcissimo per almeno mezz’ora, a fine cottura filtrate con una garza e conservate il fumetto in un recipiente di vetro. I puristi invece del verde del prezzemolo usano le sue radici, in questo caso state attenti che il fumetto non finisca nel pesce per il gatto, potrebbe ucciderlo.

 

(°) – L’ideale sarebbe di usare solo la sogliola perché la sua “essenza” è limpida e poco gelatinosa. Le carni degli altri pesci, come il rombo o la passera, danno fumetti forti e gelatinosi. In ogni modo per un buon fumetto ci vogliono solo i “pesci piatti” perché le loro carni sono più profumate.

I “rossi”.

I roux hanno lo scopo di non far “ruscellare” le salse, a parte le emulsionate che si “legano” con il tuorlo dell’uovo. La proporzione tra burro e farina è uguale sia per il roux bruno che per quello biondo e quello bianco, vale a dire per averne circa mezzo chilo occorrono 300 grammi di farina setacciata e 250 grammi di burro chiarificato.

In una casseruola fondete il burro a fuoco dolcissimo, poi aggiungeteci la farina mescolando l’impasto con un cucchiaio di legno pulito. Continuate la cottura sempre a fuoco dolcissimo per consentire all’amido della farina di volgersi in destrina. A questo punto continuate la cottura fino al roux che volete, cioè, color coloniale scuro per il bruno, più chiaro con meno cottura per il biondo e ancora più chiaro per il bianco. Attenzione però che la cottura superi in tutti e tre i casi i dodici minuti per evitare che sia poco digeribile. Possono essere preparati in anticipo e usati quando servono, per evitare i grumi integrateli ai fondi con una frusta. I puristi per i roux bruni usano la farina torrefatta, cioè, passata al forno su una griglia finché non è leggermente tostata.

 

A – Le salse madri.

La “salsa spagnola”.

In una casseruola mettete una piccola carota e una cipolla tagliata a dadini con trenta grammi di pancetta fresca e pulita, appena questa è diventata trasparente aggiungeteci qualche pilucco di timo e mezza foglia d’alloro. Rosolate leggermente il tutto. Sgrassate se è necessario e versate nella casseruola ottanta grammi di roux bruno, quindi un litro di fondo bruno e un bicchierino di vino bianco secco o di Marsala secco. Cuocete a fuoco dolcissimo sgrassando quando occorre per almeno novanta minuti. Passate il tutto alla stamigna e rimettetelo in una casseruola con qualche cucchiaio di purea di pomodoro fresco, senza pelle, semi o acqua di vegetazione. Proseguite la cottura per ancora quaranta minuti continuando, se occorre, a sgrassare la salsa. Valutate se conviene ripassarla alla stamigna e continuate a rimestarla, per evitare la formazione di una pellicola superficiale, fino al momento dell’uso (°). La salsa demi-glace si ottiene riducendo di un quarto il volume della spagnola, reintegrandolo con un fondo di vitello.

 

(°) – La ricetta della spagnola è semplice, le varianti sono numerose. La purea di pomodoro serve per colorarla leggermente di rosa, si può omettere. Molti sostituiscono il vino bianco con il rosso. Oltre alla pancetta potete aggiungere alla mirepoix del prosciutto crudo. Il fondo bruno nella tradizione francese dovrebbe essere fatto con la selvaggina da piuma. Ha scritto Edmondo De Amicis, “il solo difetto della spagnola è di essere diventata costosa da povera che era”.

Un tempo la pancetta era sostituita dal lardo e il vino bianco da quello rosso.

 

Salsa vellutata o bianca.

In una casseruola mescolate a fuoco dolce settanta grammi di roux biondo con mezzo litro abbondante di brodo. Cuocete il tutto per almeno un’ora togliendo, quando si forma, il grasso in superficie. Se volete potete passarla alla stamigna. Deve meritarsi il suo nome.

Salsa alemanna.

Va da sé, non è una salsa tedesca e non è neppure parigina, come molti la chiamano (°). In una casseruola portate ad ebollizione mezzo litro di salsa vellutata. Mescolandola con un cucchiaio di legno riducetela alla densità di una crema. In una terrina amalgamate con cura usando una frusta tre tuorli d’uovo, qualche grano di pepe schiacciato con una lama, un pizzico di noce moscata, il succo di un quarto di limone, un paio di cucchiai di champignon che avrete scottato in acqua e limone e condito con qualche fiocchetto di burro. Versate il tutto in una casseruola con una noce di burro e qualche cucchiaio di vellutata calda. Mescolate con una frusta, poi versatelo sul resto della vellutata e, sempre usando la frusta riscaldate la salsa senza farla bollire. Passatela alla stamigna e regolate il sale. Fuori dal fuoco incorporateci una noce di burro. È pronta per l’uso.

 

(°) – Questa salsa è quella che meglio di altre mostra la sua origine, cioè il fatto che nel Medioevo essa era un tutt’uno con i bouillies e le flammerie (farinate). Di fatto è una salsa bollita con dell’uovo ed assomiglia alla salsa inglese ed è tipica delle culture che preferiscono la bollitura e l’arrostitura alla rosolatura delle carni. L’alemanna degradata ha dato vita alla famiglia delle salse omnibus, tipiche della cucina dei ristoranti popolari della mitteleuropa. La più popolare ricetta della salsa omnibus è la berlinese Schmoor-braten. Un condimento che mescola al sugo di stracotto, farina abbrustolita e panna acida ed è servito con tutto o, meglio, come rimedio a tutto.

Va anche osservato che l’alto Medioevo è caratterizzato dalle salse della cucina ebraica. Erano abbinate al pane, alle uova alle verdure – soprattutto ceci, biete, lattughe e spinaci – ed erano quasi sempre acide o a base di aceti e profumate con lo zafferano, l’aglio, il coriandolo e il prezzemolo.

 

Besciamella (°).

Che la besciamella sia una salsa che si prepara con burro e farina mescolati insieme e annegati in un po’ di latte caldo è un’illusione casalinga. In una casseruola mescolate 150 grammi di roux biondo con un litro di latte bollente, mescolate in continuazione per avere un composto liscio e fluido. Versatelo in un’altra casseruola nella quale avrete messo mezzo petto di pollo allessato e tritato, un fiocco di burro, un quarto di cipolla a dadini e scottata in acqua bollente, un pilucco di timo, un pizzico di noce moscata. Cuocete il tutto a fuoco dolcissimo per almeno trenta minuti. Poi passatelo alla stamigna senza cercare di recuperare l’eventuale salsa che si è incollata al recipiente. Regolate il sale. Il pollo può essere sostituito da vitello magro o da una sogliola.

 

(°) – La parola besciamella compare scritta per la prima volta nel 1651 all’interno del ricettario di La Varenne, cuoco di Nicolas Chalon du Blé, marchese d’Uxelles. Era un omaggio a Louis de Béchameil marchese di Nointel (1603-1703), ciambellano di Luigi XIV, che molti scambiano per l’inventore di questa salsa. (Béchameil si trasformò in Béchamelle verso la fine del 1700.) Le salse sono state l’unico liquido sul quale i politici hanno potuto scrivere il loro nome, spesse volte usurpando la piccola storia. Infatti, la salsa che La Varenne ha dedicato a Béchameil deriva da una salsa toscana più antica, detta salsa colla, la cui origine si perde nel tempo.

 

Salsa di pomodoro.

Non serve tanto per le paste quanto per i piatti di carne. È una salsa “di” e non “al” pomodoro. In una casseruola appassite una cipolla tagliata a dadini con una carota tagliata alla julienne, venticinque grammi di lardo rosa magro ed altrettanti di prosciutto crudo. Aggiungeteci una noce di burro, qualche pilucco di timo, un chiodo di garofano, un pizzico di noce moscata, mezza foglia d’alloro. A fuoco dolcissimo aggiungeteci a pioggia un cucchiaio di farina setacciata e con un cucchiaio di legno per rigirare il composto cuocete per altri dieci minuti. Versare ora nella casseruola un chilo abbondante di pomodori maturi, spellati, privi di semi, acqua di vegetazione e tagliati a tocchetti. Poi tre spicchi d’aglio spellati e schiacciati con una lama, una presa di pepe nero, due cucchiaini di zucchero e uno di aceto rosso, un bicchiere di fondo bianco. Riscaldate a fuoco dolce il tutto e finite la cottura in forno a calore medio per un’ora. Passatelo alla stamigna, aggiungeteci una noce di burro e amalgamatela alla salsa a fuoco dolce, regolate ancora il sale, la salsa è pronta.

 

(SEGUE… )

 

Gli aforismi di Jean Anthelm (1)

Gli aforismi di Jean Anthelm.

 

Le salse industriali oggi fanno tendenza e in questo nuovo sbrigativo ruolo soggiacciono all’avvicendarsi delle mode, tendono a de-materializzarsi trasformandosi in “giocattoli cucinari” che nascondono ciò che sono diventate, liquami di cultura materiale.

 

Una dietetica per il solo fatto di postulare delle regole non è mai innocente.

 

Davanti alle geometriche costruzioni astratte della sedicente “cucina creativa” la volontà di potenza della fame perlomeno non è architettonica.

 

Lo spiedo ha contribuito all’invenzione dell’omofagia, le salse a digerirne il senso di colpa.

 

Per Immanuel Kant le regole della convivialità hanno un solo obiettivo, armonizzare i rapporti tra gli individui attraverso il godimento. Un obiettivo che il troppo spinge all’immoralità.

 

L’inconfessato segreto della gastrosofia di Charles Fourier è il paradosso della salute attraverso il piacere, prologo ad una pedagogia del desiderio che fa da pivot alla produzione di socialità, allo zuccherato contro l’acido, alla sciropposità dell’armonia e dell’equilibrio.

Nei falansteri Fourier sognava dei dibattiti intorno alle preparazioni alimentari. Avrebbero fatto da battistrada alla gourmandise. “Un bambino di dieci anni in Armonia”, scrive, “è un gastronome consommé” capace di confezioni cucinarie sapienti ed estetiche.

Un tale proto-socialismo aveva l’obiettivo di socializzare una società che ignorava il godimento e preferiva gli arrosti alle brode.

 

Senza ridurre la polemologia a broda, le salse sono la continuazione metonimica della politica con altri mezzi.

 

La rappresentazione è il luogo dove gli atti alimentari mutano in una sensazione, diventano emozioni che ungono il rasoio del senso (°). L’esserci è il buio sulla tavola a mezzogiorno.

(°) – In questo le rappresentazioni sono sempre degli strumenti di compensazione sociale.

 

Apprezzare il pensato nell’impensato è la dimensione perduta del gusto.

 

È l’insistenza della nostalgia che altera i sapori e fa della memoria una friandise.

 

Si può ancora sognare di scrivere ricette su un giornale intitolato Vivre?

Le salse sono state l’unico liquido sul quale i politici hanno potuto scrivere il loro nome. Basti per tutti il caso di Louis marquis de Béchamel, sognava di finire nei libri di scienza delle finanze e finito nel “cucchiaio d’argento” delle casalinghe.

 

La scimmia divenne uomo con una dieta da lupo, poi divenne lupo con la transustanziazione.

 

Sono le prime brode di cereali e non le idee che hanno ridotto nel neolitico l’intervallo tra le nascite.

 

L’ingordigia dei signori ha sempre devastato le capacità sociali degl’uomini.

 

I padri di quella corrente filosofica che sotto il nome di ideologia conoscevano i suoi limiti.

Perché altrimenti ne cercarono le basi nella fisiologia del sistema nervoso di Pierre Jean Georges Cabanis?

 

C’è una sottile linea orgiastica tra la falsa sperma usata nell’industria del cinema pornografico e la metilcellulosa che la cucina molecolare conosce fin troppo bene.

La pittura, al suo nascere, celebrò la brutalità mortale della caccia facendo trasparire da essa i balbettii di Eros. Fu la prima scuola di efferatezza. Poi vennero le religioni, le ideologie e le brode alimentari.

Quello che è buono da pensare è buono da mangiare.

 

Come ieri la svastica degli iniziati fu sovrapposta alla bandiera rossa degli operai, così oggi la forma di spettacolo è il segno che si sovrappone al destino dell’uomo senza qualità.

 

Lo spettacolo parla per poter meglio tacere.

 

Lo spettacolo è come le cattedrali di cui parla Erwin Panofsky, può essere abbracciato con un colpo d’occhio e se anche molta di esso resta invisibile non di meno può essere compreso per ciò che rappresenta.

 

La politica ha razionalizzato la bava alla bocca degli sciamani squassati dalle febbri dell’isteria.

 

Sul piano delle idee astratte chiamiamo miracolo il germogliare di un nocciolo su un mucchio di letame.

La periferia degli imperi per secolo fu disegnata dai campi di grano sottratti ai vinti.

 

Nei neoluoghi la merce è al servizio della loro phisis di cui ne interpretano la natura distinguendo il puro mercantile dall’impuro delle passioni.

 

Il vino è il miglior modo di bere l’acqua…ne contiene più dell’ottanta per cento!

 

Se, come dicono i preti, il divino abita il corpo, bere è una forma di rivolta!

 

Dal punto di vista del Paradiso Terrestre la cucina è l’attività pagana per eccellenza.

 

Essere sensuali senza essere golosi. Un ossimoro!

La civiltà cucinaria è la sola passione che non si lascia dietro né rimpianti, né sofferenze.

 

L’ineffabile Cabanis ha scritto: Madame Clicquot a plus contribué a policer la Russie que Pierre le Grand et ses successeurs.

Colette e Marthe – che mandava in visibilio la signora Guermantes – sono divise da un abisso. La prima si adoperò per tutta la vita a inseguire gli odori venerei della sua infanzia. La seconda – nonostante il seguito tra i lettori di L’Action française – aveva capito, inascoltata, che il fascismo si poteva difendere anche a partire da una teoria dei fornelli che salvasse la sostanza nazionale. Poi tutto sarà distratto dalla guerra, dalle argenteria che cambiavano di cassetto, dalla cristalleria che spariva dagli armadi, dalle forme effemeriche dei piatti “asciutti” costruiti in cucina e muniti di zoccoli sui quali troneggiare. Fatto importante, dal punto di vista della rappresentazione, perché rivelano una perversione sospetta, di voler restituire una vita “monumentale” alle carogne animali e la forma di oggetto alla sostanza organica.

Ancora una volta la metamorfosi condizione l’azione e condanna il gourmet a un détournement del sapore a profitto dello sguardo.