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Gli aforismi di Jean Anthelm (1)

Gli aforismi di Jean Anthelm.

 

Le salse industriali oggi fanno tendenza e in questo nuovo sbrigativo ruolo soggiacciono all’avvicendarsi delle mode, tendono a de-materializzarsi trasformandosi in “giocattoli cucinari” che nascondono ciò che sono diventate, liquami di cultura materiale.

 

Una dietetica per il solo fatto di postulare delle regole non è mai innocente.

 

Davanti alle geometriche costruzioni astratte della sedicente “cucina creativa” la volontà di potenza della fame perlomeno non è architettonica.

 

Lo spiedo ha contribuito all’invenzione dell’omofagia, le salse a digerirne il senso di colpa.

 

Per Immanuel Kant le regole della convivialità hanno un solo obiettivo, armonizzare i rapporti tra gli individui attraverso il godimento. Un obiettivo che il troppo spinge all’immoralità.

 

L’inconfessato segreto della gastrosofia di Charles Fourier è il paradosso della salute attraverso il piacere, prologo ad una pedagogia del desiderio che fa da pivot alla produzione di socialità, allo zuccherato contro l’acido, alla sciropposità dell’armonia e dell’equilibrio.

Nei falansteri Fourier sognava dei dibattiti intorno alle preparazioni alimentari. Avrebbero fatto da battistrada alla gourmandise. “Un bambino di dieci anni in Armonia”, scrive, “è un gastronome consommé” capace di confezioni cucinarie sapienti ed estetiche.

Un tale proto-socialismo aveva l’obiettivo di socializzare una società che ignorava il godimento e preferiva gli arrosti alle brode.

 

Senza ridurre la polemologia a broda, le salse sono la continuazione metonimica della politica con altri mezzi.

 

La rappresentazione è il luogo dove gli atti alimentari mutano in una sensazione, diventano emozioni che ungono il rasoio del senso (°). L’esserci è il buio sulla tavola a mezzogiorno.

(°) – In questo le rappresentazioni sono sempre degli strumenti di compensazione sociale.

 

Apprezzare il pensato nell’impensato è la dimensione perduta del gusto.

 

È l’insistenza della nostalgia che altera i sapori e fa della memoria una friandise.

 

Si può ancora sognare di scrivere ricette su un giornale intitolato Vivre?

Le salse sono state l’unico liquido sul quale i politici hanno potuto scrivere il loro nome. Basti per tutti il caso di Louis marquis de Béchamel, sognava di finire nei libri di scienza delle finanze e finito nel “cucchiaio d’argento” delle casalinghe.

 

La scimmia divenne uomo con una dieta da lupo, poi divenne lupo con la transustanziazione.

 

Sono le prime brode di cereali e non le idee che hanno ridotto nel neolitico l’intervallo tra le nascite.

 

L’ingordigia dei signori ha sempre devastato le capacità sociali degl’uomini.

 

I padri di quella corrente filosofica che sotto il nome di ideologia conoscevano i suoi limiti.

Perché altrimenti ne cercarono le basi nella fisiologia del sistema nervoso di Pierre Jean Georges Cabanis?

 

C’è una sottile linea orgiastica tra la falsa sperma usata nell’industria del cinema pornografico e la metilcellulosa che la cucina molecolare conosce fin troppo bene.

La pittura, al suo nascere, celebrò la brutalità mortale della caccia facendo trasparire da essa i balbettii di Eros. Fu la prima scuola di efferatezza. Poi vennero le religioni, le ideologie e le brode alimentari.

Quello che è buono da pensare è buono da mangiare.

 

Come ieri la svastica degli iniziati fu sovrapposta alla bandiera rossa degli operai, così oggi la forma di spettacolo è il segno che si sovrappone al destino dell’uomo senza qualità.

 

Lo spettacolo parla per poter meglio tacere.

 

Lo spettacolo è come le cattedrali di cui parla Erwin Panofsky, può essere abbracciato con un colpo d’occhio e se anche molta di esso resta invisibile non di meno può essere compreso per ciò che rappresenta.

 

La politica ha razionalizzato la bava alla bocca degli sciamani squassati dalle febbri dell’isteria.

 

Sul piano delle idee astratte chiamiamo miracolo il germogliare di un nocciolo su un mucchio di letame.

La periferia degli imperi per secolo fu disegnata dai campi di grano sottratti ai vinti.

 

Nei neoluoghi la merce è al servizio della loro phisis di cui ne interpretano la natura distinguendo il puro mercantile dall’impuro delle passioni.

 

Il vino è il miglior modo di bere l’acqua…ne contiene più dell’ottanta per cento!

 

Se, come dicono i preti, il divino abita il corpo, bere è una forma di rivolta!

 

Dal punto di vista del Paradiso Terrestre la cucina è l’attività pagana per eccellenza.

 

Essere sensuali senza essere golosi. Un ossimoro!

La civiltà cucinaria è la sola passione che non si lascia dietro né rimpianti, né sofferenze.

 

L’ineffabile Cabanis ha scritto: Madame Clicquot a plus contribué a policer la Russie que Pierre le Grand et ses successeurs.

Colette e Marthe – che mandava in visibilio la signora Guermantes – sono divise da un abisso. La prima si adoperò per tutta la vita a inseguire gli odori venerei della sua infanzia. La seconda – nonostante il seguito tra i lettori di L’Action française – aveva capito, inascoltata, che il fascismo si poteva difendere anche a partire da una teoria dei fornelli che salvasse la sostanza nazionale. Poi tutto sarà distratto dalla guerra, dalle argenteria che cambiavano di cassetto, dalla cristalleria che spariva dagli armadi, dalle forme effemeriche dei piatti “asciutti” costruiti in cucina e muniti di zoccoli sui quali troneggiare. Fatto importante, dal punto di vista della rappresentazione, perché rivelano una perversione sospetta, di voler restituire una vita “monumentale” alle carogne animali e la forma di oggetto alla sostanza organica.

Ancora una volta la metamorfosi condizione l’azione e condanna il gourmet a un détournement del sapore a profitto dello sguardo.