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FLUXTALES 6

 

FLUXTALES 6

 

Occorre avere un’infinità carità per i sapori… soprattutto quando sono figli di ricette che conducono gli ingredienti alla fatalità dei “saperi”.

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L’obiettivo della comunicazione sovversiva deve poter fare affidamento non soltanto sulla dialogicità del medium e sul potere dei linguaggi impropri, ma anche sulla possibilità di confutare i fantasmi della rappresentazione per squilibrare le immagini teologali del mondo e scombinare le fittizie coordinate del verosimile. In breve è compito del soggetto che si ribella mostrare una intelligenza dissoluta che mina i codici istituzionali agendo sui linguaggi. Per cominciare, con l’enfatizzazione linguistica degli eventi che fa scomparire lo spettacolo nelle nebbie della stasi.

Il détournement è un rituale d’inversione della società dello spettacolo.

 

L’allegrezza può mancare al riso come l’innocenza alla parodia.

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La burocrazia è la forma ermeneutica del capitalismo come dottrina dell’azione, essa secolarizza il dispotismo come la radice naturale dell’artificio del modo di produzione.

 

Il cibo: da materia antropologica a sostanza artistica. È bastato un secolo dalle avanguardie storiche perché la metamorfosi fosse compiuta, riconoscendo all’immateriale la sua natura di sintomo.

 

Un’illusione positivista. Cogliere, nell’evidenza, il pregiudizio, come si coglie nell’anatomia del corpo la colpa.

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La forma di spettacolo ha sfilato dalla canna del fucile della rivoluzione le baionette e ha fatto crollare una grande illusione, che possano essere le minoranze a fare la rivoluzione per le maggioranze. Non per caso da almeno un paio di generazioni si gioca sull’equivoco tra rivolta e rivoluzione.

 

La pala meccanica del capitale che per secoli ha spinto al possesso e che tanto impensieriva Max Weber si è trasformata, sotto lo spettacolo, in un lunapark dell’avere.

Com’è noto, le lingue introducono il verbo avere solo dopo che nella società si sviluppata una qualche forma di possesso personale delle risorse e delle opportunità.

Nel deserto freddo e rosso del Kalahari fino alla fine della seconda guerra mondiale i suoi abitanti non dicevano “io ho”, ma “questo è a me”…poi qualcuno vi ha scoperto pietre e terre rare…

 

Nel suo insieme il luogo della politica è il teatro permanente di manifestazioni perverse.

 

Se sappiamo distinguere tra moderno e modernità allora è chiaro: il senso, nella modernità, concorre a banalizzare l’ineffettualità della cosa.

Non è per caso che prima Honoré de Balzac e poi Walter Benjamin fossero così affascinati dai “grandi magazzini” e dai boulevard.

 

La grande lezione della Cueva de Altamira. La dimensione culturale della vita si è sempre espressa nel fatto che più la morte e la sessualità si avvicinano più si riconoscono l’una nell’altra.

 

Sotto il cielo dello spettacolo la vera arte è il mimetismo, esattamente come nelle religioni lo è il masochismo. Sotto questi panni alle religioni è congeniale gestire la violenza (l’aggressività) che esse stesse generano. Non solo, è attraverso questa filiera che la violenza è divenuta un modo di essere delle democrazie.

In altri termini, la violenza è la funzione ortopedica assegnata allo spettacolo.

 

Le salse oggi fanno tendenza. In questo nuovo ruolo soggiacciono all’erosione delle mode, tendono a de materializzarsi trasformandosi in “giocattoli cucinari”, questo le aiuta a nascondere ciò che sono diventate, “liquami culturali”.

 

L’arte moderna come le salse servono a addolcire la spaesata durezza di certi companatici. Facciamo un esempio: le salse, sulla cui superficie galleggiano le illusioni, coprono con la cultura i delitti del mattatoio.

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L’inconcepibile segreto della gastrosofia di Charles Fourier è il paradosso della salute attraverso il piacere. Un prologo ad una pedagogia del desiderio che fa da asse alla produzione della socialità, allo zuccherato contro l’acido, alla sciropposità dell’armonia e dell’equilibrio.

 

Sulle ricette delle salse borghesi, non importa se mescolate con il “cucchiaio d’argento”, galleggia lo strano legame che lega la farsa del matrimonio ai delitti della sessualità di classe.

 

Alexandre Dumas è perentorio: L’abitudine fortifica il gusto, una buona salsa aguzza l’appetito. Virtù di altri tempi, quando si scrivevano romanzi storici con il nome della madre.

 

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FLUXTALES 5

FLUXTALES 5

 

La modernità difende con i denti anche il lato servile del lavoro, a patto che questo inibisca la mobilità sociale, uno degli obiettivi segreti dello spettacolo.

 

Oggi si tende a chiamare arte l’irruzione dell’inaspettato nell’attesa.

 

La rappresentazione è il luogo dove lo spettacolo si fa sensazione, diventa un’emotività che arrugginisce il rasoio del senso.

L’esserci è il buio sul palcoscenico del divenire.

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Quando una società muove dalla forma di politica, è ancora lecito definirla tale?

 

La religione dà il mondo in pasto all’uomo. Lo spettacolo lo avvelena.

Fuori dalle catacombe dell’anima vive la specie.

 

La religione prima, la politica dopo hanno razionalizzato la bava alla bocca degli sciamani attraversati dalle febbri isteriche.

Per essi dominare è una facile vittoria, le loro vittime credono alle ombre delle credenze, abbagliati dal dio che è in loro come destino.

 

La burocrazia è la forma ermeneutica del capitalismo come dottrina dell’azione. Essa secolarizza il dispotismo come la radice naturale dell’artificio del modo di produzione.

 

Dentro la nebbia dello spettacolo si erge l’affinità ridicola tra capitalismo e democrazia.

 

Per una economia morale della nutrizione. Il primo capitolo di una fenomenologia della cultura materiale.

 

L’appetito sviluppa il desiderio d’incorporare l’alterità, rimuovendo lo spaesamento gustativo, olfattivo e visuale.

 

Un grappolo d’uva uccise Friedrich Hegel, gli raffreddò gli intestini e – racconta Rosenkranz – lo predispose al colera. La religione dell’idealismo ebbe sul nascere di questi improvvisi “imbarazzi”.

 

Da un punto di vista filologico il lavoro delle “diete” è interminato e interminabile, come quello delle ideologie.

 

Cucina e arte. Nel diciassettesimo secolo le grandi salse si cuocevano come si cuocevano i colori per farli diventano smalti.

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Quando appassisce il nannufero i sughi estivi e le salse fredde si trasformano in brode.

La poesia qualche volta fiorisce sulla punta di un mestolo.

 

Lo spettro del comunismo che si aggira tra le rovine del mondo occidentale è l’unica illusione reale che gli illusionisti dello spettacolo non riescono a vedere. Grazie Isis!

 

Il regno della ghigliottina mediatica non conosce i diavoli innamorati. Accompagnava un vasetto di mostarda di Digione.

 

Sul piano delle idee religiose chiamiamo miracolo il germogliare di un nocciolo su un mucchio di letame.

 

Lo spettacolo è perturbante in senso analitico, da ciò la sua pulsione a sviluppare assuefazione. Soprattutto a uccidere Edipo.

 

La forma di spettacolo assomiglia alle cattedrali di cui parla Erwin Panofsky. Può essere abbracciata con un colpo d’occhio e se anche molta parte di essa resta invisibile non di meno la si può comprendere per ciò che rappresenta.

 

Molti chiamano arte l’irruzione dell’inaspettato nell’attesa. Che dire? Un’altra prova della pericolosità di quei non-luoghi chiamati museo.

 

La pittura al suo nascere celebrò la brutalità mortale della caccia trasformando in un sussurro gli amorosi balbettii di Eros. Poi, la pornografia abituò l’uomo all’efferatezza del linguaggio.

 

Spettro è il termine con cui la fisica individua gli elementi, la corsa del negativo attraverso la storia sociale.

 

I libertini lo hanno scoperto da tempo, l’uomo ha più vantaggi ad assomigliare alle bestie che agli angeli.

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Dal punto di vista del cotto, come istituzione nutritiva (Lévi-Strauss) le salse costituiscono una speranza per l’estetica positiva.

 

Spostare con i rebbi di una forchetta una salsa da un piatto per guardare quello che c’è sotto è come sollevare la gonna ad una cocotte, parola di Pierre Louÿs.

 

Al tempo di MarcelProust, le cuoche e le demimondaine conoscono con la punta delle dita la filosofia, l’arte, il gusto.

 

Lenin sbagliava. Le cuoche forse non possono dirigere gli affari di Stato, ma i politici, di certo, dovrebbero finire nelle cucine per ciò che sono, sguatteri al servizio delle ideologie.

 

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