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FLUXTALES 8

 

FLUXTALES 8

 

L’esperienza in arte ha un solo obiettivo, la ricerca dell’identità dell’arte senza cadere nell’equivoco di perimetrarla perché la storia usura incessantemente per definizione ogni margine.

 

La “mal destrezza” di Fluxus è la prova provata che non va mai confusa la cultura materiale con il sapere pratico, eppure ci sono dei quidam che la confondono con l’economia domestica.

 

Felici le epoche in cui il ventre è stato un tabernacolo di spasimi e Venere lo schiumare della materia organica!

 

La grandezza di Sigmund Freud non può essere dissociata dai suoi mancati successi pratici.

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Le epidemie ideologiche sono le più pericolose perché non si vedono, come le psicosi.

 

È forse di qualche importanza per Fluxus il fatto che alla New School for Social Research insegnò Wilhelm Reich?

 

Mai ignorare i sintomi. Hanno coperchi a strappo!

 

Dicono che Marcel Duchamp è moderno perché ha affossato la “pittura retinica”. Ma considerati suoi temi sessuali, e se avesse avuto paura dell’abisso che sta dietro la superficie della tela?

 

La rappresentazione efficace è quella che ha in sé gli inneschi della sua distruzione.

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Nonostante l’ovvio sono le estrasignificanze ha nutrire il nonsense in Fluxus. In altri termini. I dettagli brillano sempre nel pan dell’ovvio.

 

La semiosi in Fluxus è congegnata in modo tale che il significato dell’ovvio e il significato più nascosto.

 

Et si ce n’est pas maintenant, quand? La fragilità ontologica è una finitudine.

 

Le migliori salse per la selvaggina sono quelle preparate dalla moglie del cacciatore, ancora stordita dagli abbracci del giovane stalliere.

Del resto, non è il corpo la via maestra alla conoscenza, non c’è qui la sfrontata allegoria di Eros e Thanatos?

 

Dal punto di vista del cotto, come istituzione nutritiva (Lévi-Strauss) le salse costituiscono una speranza per l’estetica positiva.

 

Negli atti alimentari le tendenze costituiscono una soluzione all’antica contrapposizione tra cultura di massa e cultura di élite.

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Lèonie, che piatto hai preparato con questo tirapasta? È tutto impiastricciato! Oh! Madame, lo lecchi! É buono. Ma cos’è mai non riconosco il sapore. Cos’è? Ma è sugo di fica. Uso quel mattarello per godere. Lo faccio spesso. …

(da, Pierre Louÿs, Douze douzains de dialogues on petits scènes amoureuses, Parigi 1927).

La salsa, come il sintomo in Sigmund Freud, lega a cominciare dalla “con/fusione” tra gli ingredienti rimossi e quelli rimoventi, nel tentativo di legittimare la voracità del desiderio.

 

La plasticità dei riformismi politici è la stessa degli spiedini di carne che si immergono in una salsa, variopinti e insipidi.

 

Gli aspic sono il contrario di un pasticcio. Inverano l’illusione di una progettualità da operetta che fa la concorrenza ai soufllés.

 

I libertini amano gli intingoli estivi che, come certi libri, tingono di porpora le gote delle fanciulle in fiore.

 

Una dietetica per il solo fatto di postulare delle regole non è mai innocente.

 

Nell’economia del piatto l’artificazione gioca lo stesso ruolo del fantasma sessuale, essa è il paradigma attraverso il quale la rappresentazione maschera l’incompatibile e rende accettabile l’inaccettabile. Sono rappresentazioni eccessive e traboccanti, che pescano nella castrazione il sembiante del cibo che l’antropologia concettualizza sotto il vocabolo morte.

Eva non aveva l’idea della conoscenza, ma del frutto che le avevano proibito come, il fallo che avrebbe dovuto essere presente la dove essa non vedeva che una cavità vaginale.

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Per Immanuel Kant le regole della convivialità hanno un solo scopo, armonizzare i rapporti tra gli individui attraverso il godimento, un obiettivo che il troppo spinge all’immoralità.

 

Il culto cristiano del vino è contemporaneo alla repressione degli iniziati di Bacco. Era infatti un disegno della chiesa di Roma non riconoscere che un solo delirio, quello mistico, come dire, le vigne del Signore non sono quelle del Bacco pagano.

 

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FLUXTALES 7

FLUXTALES 7

La rappresentazione è il luogo dove lo spettacolo si traveste da sensazione, diventa emotività.

Lì, arrugginisce il rasoio del senso.

L’esserci è la formula patica dell’impensabile nel buio del palcoscenico.

Privilegiando i temi, Fluxus ha svalutato la connessione che lega l’idea di arte moderna ai “motivi artistici”. Motivi indigesti se sono quelli contenuti nei barattoli di zuppa industriale.

Come non vedere nei Fluxevent la centralità causativa del non-sense?

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La forma di spettacolo ha sempre rimproverato a Fluxus un eccesso di memoria. La ragione sta nel carattere rizomatico delle immagini, che non possono sottrarsi alla storia come sintomo.

Un immagine. Se è visibile è illeggibile. Perché? Perché non siamo in grado di cogliere la componente d’invisibilità che la completa (nel senso che l’esaurisce, la “trae fuori”). In ogni modo: Nel campo dell’iconologia l’orrore è sempre metafisico.

 

Sul palcoscenico della vita corrente i simili sono soli nella similitudine. Significanti equivalenti dello stesso sintomo sociale.

 

Non c’è sapere che possa “dire” con le immagini ciò che le immagini minacciano come loro verità.

 

Nel Quattrocento l’abilità di un artista si misurava dalla sua capacità di organizzare il vuoto sulla superficie del campo pittorico. Oggi l’abilità sta nel rappresentare l’ovvio come sintomatico, cioè come una “condensazione” che “rattoppi” le immagini portatrici di crisi.

 

Come ieri la svastica degli iniziati era stata sovrapposta alla bandiera rossa degli operai, così oggi la forma di spettacolo è il segno che si sovrappone al destino dell’uomo senza qualità.

 

Nei neoluoghi la merce è al servizio della loro phisis di cui ne interpretano la natura distinguendo il puro mercantile dall’impuro delle passioni.

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Il dominio dello spettacolo non è installato nell’articolazione significante/significato, esso è piuttosto una condensazione sintomatica, una sorta di heideggeriano Stoss che altera il disordine della Cosa.

 

Nella sostanza la forma di spettacolo è la più grande impresa di rimozione del vissuto, ecco perché la sua perversa dimensione è iniziatica: una forma di rappresentazione inaccessibile.

 

Lydia Flem racconta che Sigmund Freud sulla tavola non voleva sorprese, per questo si condannò ad un rituale alimentare costituito sostanzialmente di pot-au-feu di cui solo il fondo o l’eventuale salsa cambiavano.

Chissà perché tutto ciò appare osceno se lo si considera freudianamente!

 

Che succede se invece che alla cultura del desiderio si legano gli alimenti al materialismo delle passioni? Se li pensiamo come un filo d’Arianna, da quale labirinto ci fanno uscire?

 

Occorre una certa prudenza nel pensare il cibo come un’opera d’arte, si corre il rischio di confondere l’idealismo della dissomiglianza l’etica con l’an-estetica, con la conseguenza di slegare il ciò che si mangia da ciò che si è!

In quest’ottica come non vedere una continuità tra Spinoza e Jakob Moleschott? Come non apprezzare Ludwig Feuerbach?

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Lo spiedo ha contribuito all’invenzione dell’omofagia, le salse a digerirne il senso di colpa.

 

Il sacro è la rappresentazione più oscena di una salsa.

 

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