Dal diario di Jean Anthelm:
La forma di salsa.
Il desiderio e il disgusto sono le due colonne del tempio del Vivere.
Paul Valery.
La forma di salsa è un congegno che contribuisce a coagulare un apparato, vale a dire è una configurazione, la stessa che definisce una Gestalt. Come configurazione la forma di salsa è un’unità funzionale determinata in base alle relazioni tra gli elementi che la compongono. Acquisita culturalmente ha la tendenza a raggiungere un equilibrio in cui i componenti concorrono ad innescare una percezione gustativa chiara e concisa, in sostanza, buona da pensare.
D’accordo con Christian von Ehrenfels si può dire che il processo gustativo non percepisce “una folla di dettagli giustapposti” ma una “formazione”. In questo senso la salsa “pensata” diventa un’astrazione composta da un liquido o da un semiliquido in cui delle sostanze più o meno addensate legano tra di loro dei lipidi e delle spezie. Se poi diamo retta a Hermann Ebbinghaus e alle sue teorie “associazioniste” la salsa pensata è ancora più buona se l’assaggiamo là dove ci auguriamo di trovarla, per esempio in un ristorante di lusso. In ogni caso la curva dell’oblio svaluta le sensazioni che abbiamo avuto nell’immediato e fa diventare tenace il ricordo della sua Gestalt. Funzionalmente questa Gestalt è il nome in cui l’accumulo del ricordo gustativo fa le veci del sapore. Ciò implica che il “contesto” della forma di salsa è più significante del “testo”, essa comprende gli alimenti in cui è aggiunta, cioè li prende insieme.
La salsa condisce e poi avvalora, sublima, nasconde, rimuove, trasforma, maschera, esalta, camuffa, mimetizza, vela, occulta, traveste, eleva, trascende, esagera, elogia, onora, decanta, evidenzia, eccita, smorza, mitiga, convalida, dissimula, cela, sfuma, confonde, appanna, accresce, esaspera, acuisce, addolcisce, amplifica, enfatizza, modera, assorbe, attenua, impregna, inzuppa, addensa, colora, uniforma, unge, macchia, inzacchera, liscia, fonde, aggrega, omogeneizza, domestica, diversifica, conforma, adegua, differisce…
La vera gloria del ghiottone è la competenza enciclopedica, l’abilità nell’enumerare gli ingredienti di una salsa dal maggiore al più insignificante e di ragionare sulle quantità. Lo sapeva bene Ian Lancaster Fleming che confezionò per una delle sue spy-story una risoluta e molto british caccia al nemico di sua maestà a partire dagli ingredienti del fondo di una bouillabaisse.
La salsa come paradigma evidenzia le forme della comunicazione cucinaria, diventando sostanza sociale e materia di interrelazioni. In questa “evidenziazione” si creano strategie che esaltano i desideri, soddisfano le passioni, formano nuovi codici o trasgrediscono i vecchi, esaltano l’azzardo e minano ogni logica. Se poi consideriamo la forma di salsa come una forma di sociabilità in cui è racchiusa una visione del mondo, allora essa è assimilabile ad una metafora che consente di comprendere alcune significative rappresentazioni del mondo occidentale.
Questa equivalenza nasce dal fatto che sociabilità, socialità e salse possono essere intese come dei leganti che concorrono a costruire dei legami che si modificano nel tempo, contribuendo a scrivere una storia sociale del gusto e del disgusto.
Le salse medioevali erano acide – perché a base di succo di agrumi, aceto, succo d’uva acerba, soltanto più tardi si userà il mosto dolce – e povere di grassi se non addirittura prive. Venivano legate con la mollica di pane raffermo inzuppato nell’acqua, nel brodo, nel latte o da pane sbriciolato. Qualche volta erano addizionate con un tuorlo d’uovo e variamente speziate con erbaggi profumati. Servivano più che altro a “condire” carni rosse e selvaggina. Il loro gusto si modificò nel tempo, sia per il variare delle dosi degli ingredienti usati, sia per l’intervento di nuove spezie. Per la politesse rappresentavano una forma di distinzione e spesso erano arricchite di poteri magici, medicinali e afrodisiaci. L’aggiunta di miele in molte di esse contribuiva a smorzare il sapore forte di frollatura della selvaggina, sovente al limite della putrefazione. Non per caso questa è la grande stagione delle mostarde, la regina delle salse medioevali.
Le salse nell’Encyclopedie.
Sauce o Sausse composizione liquida nella quale i cucinieri cuociono le pietanze più diverse o preparano a parte per condire le carni quando sono cotte. Conosciamo bene le salse moderne, ma forse può far piacere trovare qui qualcuna delle salse della cucina dei nostri progenitori che il signor Sauval(°) ha repertoriato nelle sue antichità di Parigi. Queste salse sono la salsa gialla, la salsa calda, la salsa à compote, la salsa mostarda o galantina, la salsa rapée e per finire la camelaine.
La salsa gialla si preparava con il pepe bianco, che i nostri padri chiamavano jaunet (ambrato). Fa parte delle salse calde. Nella salsa à compot è invece impiegato il pepe nero.
La salsa mostarda o galantina è fatta con le radici di questa pianta che i nostri botanici non conoscono più e che forse non è altro che il rafano che noi mettiamo oggi nelle nostre salse e che è non meno caldo e piccante della galantina.
La salsa rapée si fa con il verjus (verde) del grano o con il ribes verde.
La salsa verde, che apprezziamo ancora oggi, aveva tra i suoi ingredienti lo zenzero e il verjus, che si tingevano di verde con il succo di prezzemolo o di grano verde, e si completava con della mollica di pane bianco.
Per quanto riguarda la camelaine, che prende il suo nome da qualcosa che ci sfugge, è composta di cannella, zenzero, chiodi di garofano, grani di mostarda, vino, verjus, pane e aceto. Ne consegue che è la più articolata di tutte le salse di questo tipo.
Il diritto di fare e di vendere delle salse apparteneva un tempo ai mercanti di spezie che si definivano speziali-apotecari-salsieri, ma in seguito il nome e la merce sono passati ai maestri acetari che ancora oggi hanno la qualità di maestri salsieri.
La salsa Robert, come dice il Cuisinier(°°), è composta da cipolle condite con della mostarda e cotte nel grasso di una lombata di maiale o di qualcosa d’altro che si è usato per bagnare la salsa.
I cucinieri chiamano salsa verde anche una salsa fatta con il grano verde, pane abbrustolito, pepe, sale, il tutto schiacciato e passato alla stamigna(°°°).
(°) – Henry Sauval (1623-1676) è stato avvocato e storico. Nel 1724 uscì postuma in tre volumi, la sua Histoire et recherches des antiquites de la ville de Paris. E anche l’autore di L’histoire des bordels de la Cour et de Paris, composta da due parti, Galanterie des rois de France e l’altra sul fenomeno della prostituzione. Quest’ultima è stata ripubblicata nel 2008 con il titolo Traité des bordels.
(°°) – Si tratta di Le cuisinier royal et bourgeois di François Massialot, uscito nel 1705.
(°°°) – Da, Encyclopedie ou Dictionnaire raisonné des siences, des arts et des métiers, 1751, prima edizione, tomo quattordicesimo.
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