Ricettario
(Tratto da: Condimenti. Una storia sociale delle salse).
Preambolo.
Le docteur avait aussi trouvé le moyen d’empêcher l’âcreté des roux, mais ce secret a eté perdu.
Honoré de Balzac.
È sempre difficile cucinare ciò che gl’altri scrivono!
Bernard Rosenthal.
Da un punto di vista pratico le salse, considerate una “fusione” o una “saldatura”, sono la panacea più prossima alle illusioni dei preparati alchemici, per questo rassegnatevi! Non riuscirete mai a farne due uguali e, se siete dei dilettanti – alla lettera, quelli che trafficano in cucina per diletto – qualunque siano i vostri sforzi, non saranno mai uguali a quelle professionali. Ciò non toglie che in qualche raro caso non siano migliori.
Le ragioni sono tante, dall’inesperienza, che non vi aiuta nelle correzioni in corso d’opera, alla mancanza di attrezzature e ingredienti adeguati.
Oggi le salse possono essere classificate in bianche, brune e emulsionate.
Le bianche e le brune sono confezionate a partire da un roux in associazione con latte, sughi o fondi preparati per l’occasione.
Le emulsionate sono il risultato di un’associazione di tuorli d’uovo con olio, burro o panna.
Possiamo definire “madri” la salsa bianca, la besciamella, la vellutata, la bruna detta spagnola e la maionese.
La besciamella è il risultato dell’incontro tra un roux bianco e del latte. La vellutata amalgama un roux biondo con sugo o fondo bianco. La spagnola sposa il roux bruno con il sugo o un fondo bruno.
La trappola in cui cadono i dilettanti è di credere che i sughi o i fondi possano essere sostituiti con i brodi casalinghi o addirittura con quelli industriali in cui domina il glutammato.
Infine, si possono consultare tutti i ricettari che si vogliono, ma senza un nonnulla di entusiasmo le ricette si riducono inevitabilmente a cataloghi d’ingredienti.
Nous devons considérer le boeuf come l’âme de la cuisine.
Antonin Carême.
Un brodo assoluto.
In una pentola capace o meglio in una grossa marmitta di coccio mettete sul fondo 300 grammi di ossa di controfiletto e sistematele in modo che in seguito il resto degli ingredienti non tocchino il fondo. Sulle ossa adagiate mezzo chilo di geretto di manzo o muscolo, 300 grammi di geretto di vitello, 200 grammi di spuntatura di coste, 300 grammi di coda di bue tagliata a tronchetti, 200 grammi di spalla, 400 grammi di scamone di manzo. Nella cucina francese sono previsti anche 300 grammi di collo di montone. Ricoprite a filo con acqua fredda. Cuocete a fuoco vivace e senza coperchio per evitare che il brodo diventi torbido(°).
Dopo mezz’ora circa spostate la pentola di lato sul fornello e schiumate con cura. Continuate la cottura per altri quindici minuti a fuoco medio, schiumate di nuovo. Aggiungeteci un pollo intero e pulito di circa un chilo di peso, del sale grosso in ragione di otto grammi per litro d’acqua e cinque o sei grani di pepe nero. Poi, tre cipolle rosse intere picchettate con sei chiodi di garofano, una testa d’aglio, 200 grammi di carote, 200 grammi di rape e un sedano rapa a tocchi, 200 grammi di porri, compreso il verde, tre o quattro ossa con midollo tagliate a tronchetti, un mazzetto guarnito e chiuso in una garza composto da prezzemolo, alloro, timo, maggiorana, qualche filo d’erba cipollina, cerfoglio, qualche fogliolina di menta. Schiumate ancora e lasciate cuocere il tutto per almeno quaranta minuti. A questo punto togliete dalla pentola tutto quello che è cotto, escluse le carni. Aggiungeteci 300 grammi di spinacino di bue (è la parte che confina con il garretto sotto la noce, si usa in genere per fare le “tasche” o i polpettoni) e cinque o sei pomodori maturi. Continuate la cottura per un’altra mezz’ora. Recuperate quello che c’è nella pentola, potete usarlo per altre preparazioni. Regolate il sale e filtrate il brodo prima di usarlo.
Un suggerimento. In una tazza mettete sul fondo un paio di cucchiai di un buon vino rosso, riempite la tazza di brodo caldo, aggiungeteci un paio di grani di pepe schiacciati con una lama, infilate nella tazza una fetta di pane abbrustolito, condite il tutto con un paio di cucchiai di grana padano grattugiato al momento e godetevi il vostro capolavoro. Il brodo si conserva in un recipiente di vetro o di coccio. Il pollo, se volete servitelo accompagnandolo con una salsina a base d’olio d’oliva, aceto balsamico, sale pepe e qualche pilucco di cerfoglio.
Dice un proverbio renano: Per un buon brodo ci vuole molta carne, poca acqua, una cottura lenta e prolungata, la pazienza di una puttana.
(°) – Le quantità a prima vista sembrano eccessive, ma in una economia di scala sono quelle strettamente necessarie per ottenere un risultato apprezzabile.
Brodo bianco.
È una versione semplificata del brodo assoluto. Usate, come carni, ossa di vitello, qualche ritaglio di carni bianche, uno stinco di vitello, due petti di pollo senza pelle. A ebollizione schiumate con cura e poi con gl’altri ingredienti vegetali, meno i pomodori, continuate la cottura a fuoco dolce per almeno due ore.
Fondo o sugo bruno
Tagliate a tocchetti un chilo di carne di vitello mista (geretto, coscia, spalla) e 300 grammi di ossa di vitello spezzate e tagliate. Sistematele sul fondo di una teglia unta con il burro. Cuocetele a fuoco vivace finché non sono dorate. In una casseruola sistemate due cipolle rosse tagliate a fettine, un paio di carote non troppo grosse tagliate a metà per il lungo, un mazzetto guarnito composto da prezzemolo, pilucchi di timo, maggiorana, una foglia di alloro, sul tutto mettete la carne e le ossa. Fate sudare le verdure, intanto deglassate il fondo della teglia con un bicchiere d’acqua nel quale avrete aggiunto un cucchiaio di vino bianco dolce e un cucchiaino di aceto bianco. Aggiungetelo alla casseruola e fatelo ritirare della metà. Adesso versate nella casseruola due litri d’acqua e a calore dolce fate cuocere il tutto per almeno tre ore. Schiumate di tanto in tanto. A fine cottura regolate il sale e filtrate il fondo con un colino. Quando è freddo recuperate il grasso che è affiorato, vi potrà servire per cucinare delle uova in tegame. Rifiltrate il fondo con una garza. Dovrebbe avere un colore ambrato ed apparire limpido.
Fondo o sugo bianco.
Si prepara come il fondo bruno, ma senza brasare la carne e le ossa e prolungando la cottura a fuoco dolcissimo per almeno quattro ore
Fondo bianco (variante).
Si prepara come il fondo bianco di vitello, ma utilizzando un paio di pollastre tagliate a pezzi.
Fumetto.
Il fondo di pesce o fumetto si può preparare con le carni di nasello, di merluzzo o di rombo che sono carni bianche e le lische di sogliola(°). In una casseruola riunite mezzo chilo di carne di pesce e mezzo chilo di lische di sogliola (mettetevi d’accordo con la vostra pescheria per recuperarle). Versateci sopra un litro d’acqua fredda, aggiungeteci un bicchiere di vino bianco secco – Soave, Arneis o Pigato – e un cucchiaio di vino dolce o di Marsala. Cuocete a fuoco medio, appena il tutto bolle schiumate e aggiungeteci due cipolle bianche affettate, un pugnetto di prezzemolo o di radici di prezzemolo, un pugno di gambi di champignon, il succo di mezzo limone, un pizzico di sale. Cuocete a fuoco dolcissimo per almeno mezz’ora, a fine cottura filtrate con una garza e conservate il fumetto in un recipiente di vetro. I puristi invece del verde usano le radici del prezzemolo, sono più profumate. In questo caso state attenti che il fumetto non finisca nel pesce per il gatto, potrebbe ucciderlo.
(°) – L’ideale sarebbe usare solo la sogliola perché la sua “essenza” è limpida e poco gelatinosa. Le carni degli altri pesci piatti, come il rombo o la passera, danno fumetti forti e gelatinosi. In ogni modo per un buon fumetto ci vorrebbero anche questi perché le loro carni sono più profumate.
I “rossi”.
I roux hanno lo scopo di non far “ruscellare” le salse, a parte quelle emulsionate che si “legano” con il tuorlo dell’uovo. La proporzione tra burro e farina è uguale sia per il roux bruno che per quello biondo e quello bianco, vale a dire per averne circa mezzo chilo occorrono 300 grammi di farina setacciata e 250 grammi di burro chiarificato.
In una casseruola fondete il burro a fuoco dolcissimo, poi aggiungeteci la farina mescolando l’impasto con un cucchiaio di legno pulito. Continuate la cottura sempre a fuoco dolcissimo per consentire all’amido della farina di volgersi in destrina. A questo punto continuate la cottura fino al roux che volete, cioè, color coloniale scuro per il bruno, più chiaro con meno cottura per il biondo e ancora più chiaro per il bianco. Attenzione che la cottura superi in tutti e tre i casi i dodici minuti per evitare che sia poco digeribile. Possono essere preparati in anticipo e usati quando servono, per evitare i grumi integrateli ai fondi con una frusta. I puristi per i roux bruni usano la farina torrefatta, passata al forno su una griglia finché non appare leggermente tostata.
A – Le salse madri.
La salsa spagnola.
In una casseruola mettete una piccola carota e una cipolla tagliate a dadini con trenta grammi di pancetta fresca e pulita, appena questa è trasparente aggiungeteci qualche pilucco di timo fresco e mezza foglia d’alloro. Rosolate leggermente il tutto. Sgrassate se è necessario e poi versate nella casseruola ottanta grammi di roux bruno, quindi un litro di fondo bruno e un bicchierino di vino bianco secco o di Marsala secco. Cuocete a fuoco dolcissimo, sgrassando quando occorre, per almeno novanta minuti. Passate il tutto alla stamigna e rimettetelo in una casseruola con qualche cucchiaio di purea di pomodoro fresco, senza pelle, semi o acqua di vegetazione. Proseguite la cottura per ancora quaranta minuti continuando a sgrassare la salsa. Valutate se conviene ripassarla alla stamigna e continuate a rimestarla per evitare la formazione di una pellicola superficiale fino al momento dell’uso (°). La salsa demi-glace si ottiene riducendo di almeno un quarto il volume della spagnola, reintegrandola con un fondo di vitello.
(°) – La ricetta della spagnola è semplice, le varianti sono numerose. La purea di pomodoro serve per colorarla leggermente di rosa, si può omettere. Oltre alla pancetta potete aggiungere alla mirepoix del prosciutto crudo. Il fondo bruno nella tradizione francese dovrebbe essere fatto con la selvaggina da piuma. Ha scritto Edmondo De Amicis, “il solo difetto della spagnola è di essere diventata costosa da povera che era”. Un tempo la pancetta era sostituita dal lardo e il vino bianco da quello rosso.
Salsa vellutata o bianca.
In una casseruola mescolate a fuoco dolce settanta grammi di roux biondo con mezzo litro abbondante di brodo. Cuocete il tutto per almeno un’ora togliendo, ogni volta che si forma, il grasso in superficie. Se volete alla fine potete passarla alla stamigna. Deve meritarsi il suo poetico nome.
Salsa alemanna.
Va da sé, non è una salsa tedesca e non è neppure parigina, come molti la chiamano (°). In una casseruola portate ad ebollizione mezzo litro di salsa vellutata. Mescolandola con un cucchiaio di legno pulito riducetela alla densità di una crema. In una terrina amalgamate con cura usando una frusta tre tuorli d’uovo, qualche grano di pepe schiacciato con una lama, un pizzico di noce moscata, il succo di un quarto di limone, un paio di cucchiai di champignon che avrete scottato in acqua e limone e condito con qualche fiocchetto di burro. Mettete il tutto in una casseruola con una noce di burro e qualche cucchiaio di vellutata calda. Mescolate con una frusta, poi versatelo sul resto della vellutata e, sempre usando la frusta riscaldate la salsa senza farla bollire. Passatela alla stamigna e regolate il sale. Fuori dal fuoco incorporateci una noce di burro. È pronta per l’uso.
(°) – Questa salsa è quella che meglio di altre mostra la sua origine, cioè il fatto che nel Medioevo essa era un tutt’uno con i bouillies e le flammerie (farinate). Nella sostanza è una salsa bollita con dell’uovo e assomiglia alla salsa inglese, è tipica delle cucine e delle culture che preferiscono la bollitura e l’arrostitura alla rosolatura delle carni. L’alemanna degradata ha dato vita alla famiglia delle salse omnibus, tipiche della cucina dei ristoranti popolari della mitteleuropa. La più diffusa ricetta della salsa omnibus è la berlinese Schmoor-braten. Un condimento che mescola al sugo di stracotto, farina abbrustolita e panna acida ed è servito con tutto o, meglio, come rimedio a tutto.
Va anche osservato che l’alto Medioevo è caratterizzato dalle salse della cucina ebraica. Erano abbinate al pane, alle uova alle verdure – soprattutto ceci, biete, lattughe e spinaci – ed erano quasi sempre acide o a base di aceti, profumate con lo zafferano, l’aglio, il coriandolo e il prezzemolo.
Besciamella (°).
Che la besciamella sia una salsa che si prepara con burro e farina mescolati insieme e annegati in un po’ di latte caldo è un’illusione casalinga. In una casseruola riunite 150 grammi di roux biondo con un litro di latte bollente, mescolate in continuazione per avere un composto liscio e fluido. Versatelo in un’altra casseruola nella quale avrete messo mezzo petto di pollo allessato e finemente sminuzzato, un fiocco di burro, un quarto di cipolla a dadini e scottata in acqua bollente, un pilucco di timo, un pizzico di noce moscata. Cuocete il tutto a fuoco dolcissimo per almeno trenta minuti. Poi passatelo alla stamigna senza cercare di recuperare l’eventuale salsa che si è incollata al recipiente. Regolate il sale. Il pollo può essere sostituito da vitello magro o da una sogliola.
(°) – La parola besciamella compare scritta per la prima volta nel 1651 all’interno del ricettario di La Varenne, cuoco di Nicolas Chalon du Blé, marchese d’Uxelles. Era un omaggio a Louis de Béchameil marchese di Nointel (1603-1703), ciambellano di Luigi XIV, che molti scambiano per l’inventore di questa salsa. Béchameil si trasformò in Béchamelle verso la fine del 1700. Le salse sono state l’unico liquido sul quale i politici hanno potuto scrivere il loro nome, spesse volte usurpando la piccola storia. Infatti, la salsa che La Varenne ha dedicato a Béchameil deriva da una salsa toscana più antica, detta salsa colla, la cui origine si perde nel tempo.
Salsa di pomodoro.
Non serve tanto per le paste quanto per i piatti di carne. È una salsa “di” e non “al” pomodoro. In una casseruola appassite una cipolla tagliata a dadini con una carota tagliata alla julienne, venticinque grammi di lardo rosa magro ed altrettanti di prosciutto crudo. Aggiungeteci una noce di burro, qualche pilucco di timo, un chiodo di garofano, un pizzico di noce moscata, mezza foglia d’alloro. A fuoco dolcissimo aggiungeteci a pioggia un cucchiaio di farina setacciata e con un cucchiaio di legno rigirate il composto cuocendolo per altri dieci minuti. Versare ora nella casseruola un chilo abbondante di pomodori maturi, spellati, privi di semi, acqua di vegetazione e tagliati a tocchetti. Poi tre spicchi d’aglio spellati e schiacciati con una lama, una presa di pepe nero, due cucchiaini di zucchero e uno di aceto rosso, un bicchiere di fondo bianco. Riscaldate a fuoco dolce il tutto e finite la cottura in forno a calore medio per un’ora. Passatelo alla stamigna, aggiungeteci una noce di burro e la punta di un coltello di farina, amalgamateli alla salsa a fuoco dolce, regolate il sale, la salsa è pronta.
B – Qualche salsa bruna classica.
Salsa bordolese(°).
Fate sfrigolare in una casseruola una noce di burro o un battuto di lardo bianco, aggiungeteci uno scalogno piccolo e ben tritato, a fuoco dolce appassitelo. Uniteci qualche grano di pepe nero schiacciato con una lama, un chiodo di garofano, qualche pelucco di timo fresco, mezza foglia d’alloro sbriciolata, un sospetto di cannella in polvere, un bicchiere abbondante di vino rosso robusto e di qualità(°°). Versate nella casseruola una tazza di salsa demi-glace o di spagnola, meglio di quest’ultima. Fate sobbollire per almeno un quarto d’ora. Passate il tutto al colino e rimettetelo in una casseruola con ottanta grammi di midollo di manzo che avrete lavato con cura, tagliato a tocchetti e cotto per qualche minuto in un paio di cucchiai del fondo preparato senza farlo bollire. Integrate al tutto un’altra noce di burro, regolate il sale, passate ancora la salsa alla stamigna e riscaldate, è pronta.
(°) – Cfr., questa ricetta con quella di Marthe Allard.
(°°) – La bordolese, dicono i contadini alsaziani va inondata di Bourgogne con il suo profumo di terra e di cuoio.
Salsa al Madera.
Pulite con cura e spellate 200 grammi di champignon piccoli e sodi. Lavateli e asciugateli. Saltateli in una padella, meglio se di ferro, con una noce di burro al color nocciola, uniteci due tazze di salsa demi-glace. In un pentolino riducete di un terzo, senza farlo bollire, un bicchiere di Madeira (°). A lato della fiamma versatelo con gli champignon in una casseruola. Integrateci due noci di burro e regolate il sale. Passate tutto al setaccio e conservate la salsa al caldo.
(°) – Il Madiera è un vino liquoroso che si produce nell’omonimo arcipelago portoghese. Grazie alla sua particolare lavorazione si conserva a lungo, addirittura per decenni. I gourmet per questa salsa usano la varietà Malmsey millesimata – una Malvasia – e rimpiangono la varietà Terrantez, oramai scomparsa. Se non avete il Madera usate del vino di Porto nel quale conviene aggiungere il succo di un melograno e la scorza grattuggiata di un limone non trattato.
Salsa Duxelles(°).
In una casseruola appassite uno scalogno tritato fine con una noce di burro. Aggiungeteci 120 grammi di champignon bianchi e sodi, lavati, asciugati e tritati. Aggiungeteli allo scalogno. Appena sono appassiti bagnateli con mezzo bicchiere di vino bianco secco facendolo ridurre quasi del tutto. Adesso aggiungeteci una tazza di salsa spagnola e riducete ancora il tutto di un quarto. Passate la salsa al cinese, integrateci con una frusta una noce di burro e un pugnetto di prezzemolo tritato fine, regolate il sale.
Insieme alla spagnola potete mettere nella salsa un cucchiaio di purea fresca di pomodoro, in questo caso completate gl’odori con del pepe e della noce moscata. Non cadete nella tentazione di sostituire gli champignon con dei porcini, non serve a niente, piuttosto potete mettere verso la fine, con la noce di burro e il prezzemolo, un paio di cucchiai di vino di Porto, serviranno ad attenuare l’odore che ha questa salsa, di suore nubilate dal risentimento per la religione.
(°) – Per convenzione si fa risalire questa salsa a François Pierre de La Varenne quando prestò servizio come cuciniere presso il marchese d’Uxelles, dal 1644 al 1651. In realtà all’origine era piuttosto un hachis di champignon cotti nel burro con dello scalogno.
Salsa al Barolo.
Stufate con una noce di burro, senza seccarle, una cipolla rossa tagliata fine e una carota grattugiata. Uniteci due spicchi d’aglio schiacciati con una lama, un pizzico di noce moscata e mezzo litro di Barolo giovane. Aggiungeteci due tazze di salsa spagnola e cuocete il tutto per almeno un quarto d’ora a fuoco dolce. Passate alla stamigna, aggiungeteci un pizzico di zucchero, regolate il sale e con la casseruola spostata a bordo della fiamma integrateci con una frusta un’altra noce di burro.
Salsa alla cacciatora.
Dorate in una padella a fuoco vivace, con due noci di burro e mezzo bicchiere di olio extravergine, 150 grammi di champignon puliti e affettati. Uniteci uno scalogno tritato fine e una volta appassito un bicchiere di vino bianco secco. Appena il tutto è ridotto integrateci una tazza di salsa demi-glace e mezza tazza di purea di pomodoro fresco e maturo a cui avrete tolto la buccia, i semi e l’acqua di vegetazione. Fate andare la salsa a fuoco dolce per un quarto d’ora. Profumatela a piacere con cerfoglio, dragoncello e una foglia di menta freschi, regolate il sale. Potete usare la salsa così com’è oppure passata al setaccio se è destinata alla selvaggina di piccolo taglio.
Salsa indiavolata.
Imbiondite in una casseruola con una noce di burro una cipolla bianca con due scalogni tritati fini. Uniteci un quarto di bicchiere di aceto rosso di buona qualità ridotto della metà in un recipiente a parte, poi una tazza di salsa spagnola. Cuocete il tutto per almeno dieci minuti. A lato del fuoco incorporateci quaranta grammi di burro, tre cetriolini tagliati fini con una mezzaluna, un cucchiaino di pepe schiacciato con una lama, un paio di cucchiaini di paprica, regolate il sale(°).
(°) – Se a questa salsa, fuori dal fuoco, aggiungete un cucchiaio di senape forte e un pizzico di zucchero diventa una variante della salsa Robert.
Salsa con le erbe.
È un’antica salsa francese che i francesi chiamavano italiana e che testimonia l’influenza della cucina fiorentina in Francia. Fate macerare per almeno mezz’ora nel vino bianco secco un cucchiaio di prezzemolo, di cerfoglio e di erba cipollina che avrete tritato finemente. Aggiungeteci una tazza di demi-glace, riscaldate il composto per qualche minuto a bagnomaria e passate tutto alla stamigna. Aggiungeteci un pizzico di prezzemolo tritato, qualche goccia di limone, mezza noce di burro e regolate il sale.
Salsa alla melangola (°).
In una casseruola preparate un caramello chiaro con 100 grammi di zucchero e aceto bianco di qualità. Deglassatelo con un bicchiere di vino bianco secco che lascerete evaporare. Aggiungeteci una tazza di demi-glace e poi tre o quattro cucchiai di succo di melangola. Cuocete il tutto a bagnomaria per cinque minuti, integrateci una noce di burro e regolate il sale. Fuori dal fuoco mettete nella salsa le scorze tagliate alla julienne e imbianchite di mezzo arancio e mezzo limone. Se è usata come accompagnamento di un’anatra o di un’oca arrostite al momento di portarla in tavola aggiungeteci un cucchiaio del suo fondo deglassato e filtrato.
(°) – La melangola (fr. bigarade, inglese bitter orange, ted. Bittelpomeranze), chiamata anche arancia forte o arancia amara, è il frutto del Melangolo (Citrus Vulgaris) della famiglia delle Citracee, probabilmente fu importato in Italia dai Crociati. Il frutto è tipico per il sapore amaro e la pelle rugosa. Con i fiori si prepara l’acqua di fiori d’arancio, col frutto il curaçao.
C – Qualche salsa bianca classica.
Salsa Mornay.
In una casseruola scaldate mezzo litro di besciamella, aggiungeteci cinquanta grammi di Gruyere grattugiato. Mescolando in continuazione fate sciogliere il formaggio. Fatto questo spostate la casseruola dal fuoco ed integrateci due tuorli battuti con un po’ di panna liquida fresca. A fuoco dolce riscaldate il composto mescolando in continuazione. Appena accenna a bollire lontano dal fuoco incorporateci una noce di burro. Se serve per condire della carne aggiungeteci un cucchiaio di fondo di questa ben ridotto. Se serve per il pesce, un cucchiaio di fumetto ristretto. In entrambi i casi regolate il sale.
Salsa Nantua.
Si racconta che questa salsa fu elaborata a Nantua, sul lago omonimo nella regione francese di Rhône-Alpes, per accompagnare le quenelle (chenelle) di pesce di luccio. È una ricetta che risale alla seconda guerra mondiale, metteva insieme un quarto circa di polpa di luccio e poi latte, uova, farina o pane secco grattugiato fine e burro, confezionando una specie di pasta a choux. La salsa, invece, era a base di burro di gamberi di fiume, un tempo numerosi nella zona.
In una casseruola riscaldate o, preparate mezzo litro di besciamella. Incorporateci un bicchiere di panna liquida fresca e, aiutandovi con una frusta, a fuoco vivace riducete il tutto ad una salsa abbastanza consistente. Fuori dal fuoco aggiungeteci cinquanta grammi di burro di gamberi(°) e regolate il sale. Potete decorare la salsa con code di gambero sgusciate e saltate nel burro.
(°) – Il burro di gamberi si prepara così. In un mortaio mettete i gusci di una dozzina di gamberi saltati con una noce di burro. Aggiungeteci un cucchiaino di burro e un paio di cucchiai di una dadolata di carota e cipolla bianca stufata nel burro e salata quanto basta. Pestate fino a ridurre il tutto in pasta, aggiungeteci i gamberi e un paio di noci di burro. Continuate a lavorarlo fino ad avere un composto omogeneo. Passatelo al setaccio e conservate questo burro in una cocotte di coccio o di vetro in frigorifero.
Salsa Soubise.
Chi scrive, da studente, mentre rovistava inseguendo segreti di Pulcinella sfatti dalla polvere tra i documenti degli “archivi nazionali” in rue des Francs-Bourgeois a Parigi, ha immaginato in più di un’occasione d’incontrare svoltando gli angoli dei corridoi del suo antico palazzo il principe di Soubise, libertino, melomane e bibliofilo, amico di Voltaire, elegante cuciniere, militare per dovere e gourmet per vocazione. Questa salsa, recita la tradizione, nacque per celebrare i suoi canetons. Tritate finemente 200 grammi di cipolle di Tropea o di cipolle rosse piccole. Scottatele in acqua bollente, raffreddatele e passatele in una casseruola con due noci di burro, rigirandole in continuazione finché non sono dorate. Integrateci mezzo litro di besciamella e a fuoco dolce cuocete il tutto per un quarto d’ora. Passate la salsa alla stamigna, riportate a bollore, regolate il sale e, lontano dal fornello con una frusta incorporateci mezzo bicchiere di panna liquida fresca leggermente addensata e una noce di burro. Se volete usare questa salsa per cucinare le uova potete aggiungervi insieme alla besciamella una tazza di purea di pomodoro maturo passata al setaccio.
Salsa al curry.
Appassite una cipolla bianca, finemente tritata, in una casseruola con una noce di burro. Conditela con qualche pilucco di timo fresco, mezza foglia d’alloro, un chiodo di garofano, un pizzico di noce moscata e uno di pepe nero. Incorporateci quaranta grammi di farina bianca setacciata, un cucchiaio di farina di mandorle, venti grammi di curry in polvere. Cuocete il tutto per una decina di minuti e poi integrateci mezzo litro di fondo bianco o di fumetto se la salsa è destinata ad accompagnare un pesce. Cuocete per altri venti minuti e passate alla stamigna, fuori dal fuoco incorporateci mezzo bicchiere di panna liquida fresca leggermente addensata e regolate il sale. Potete sostituire la farina di mandorle con la farina di cocco.
D – Salse emulsionate fredde(°).
(°) – Un’emulsione è un miscuglio o una dispersione che si presenta omogeneo e è più o meno stabile, di fatto è il risultato di due o più liquidi che “sbattuti” tra di loro non amalgamano. La stabilità di un’emulsione dipende dalla densità, dalla temperatura, dalla presenza di sostanze tensioattive, cioè, emulsionanti, e dalla presenza di elettroliti. Le proteine, il latte e il burro sono stabilizzatori delle emulsioni.
Maionese(°).
Inseguire una Leda amorosa non basta a fare una buona maionese…
Katharina di Nieuwerve
È una salsa leggendaria e madre d’infinite altre salse. La sua semplicità, più che le diverse paternità che le sono state attribuite, è un indizio della sua età. Se ne può trovare qualche traccia addirittura in Apicio, ma come tutte le invenzioni geniali in cucina ha molte madri.
La maionese è figlia del caldo e teme il freddo. Oltre a un braccio robusto la sua preparazione è facilitata se il recipiente in cui si mettono gli ingredienti e, tra questi, l’olio e le uova sono leggermente riscaldati. Raccogliete in una terrina i tuorli di sei uova perfettamente puliti dall’albume e dal germe. Aggiungeteci il succo di un limone, un cucchiaino di aceto di vino bianco, un grosso pizzico di sale e una punta di coltello di pepe bianco macinato al momento. Con una frusta mescolate il tutto, appena è omogeneo cominciate ad aggiungere dell’olio d’oliva extravergine, goccia a goccia, sempre continuando ad usare la frusta. Se la maionese tende ad inspessire troppo, fluidificatela con un cucchiaino d’aceto. Via, via che l’operazione procede potete accentuare il goccia a goccia dell’olio. In ogni momento della sua operazione la maionese deve essere assolutamente cremosa, più ossigeno ingloba più sarà leggera ed untuosa. Assorbirà molto olio. Si può stabilizzare una volta ultimata con un cucchiaino di aceto bollente. L’esperienza ieri la teoria delle emulsioni oggi dicono che se invece della frusta si usa un mestolo di legno la maionese risulterà più cremosa, ma la lavorazione è più lunga e più faticosa. La maionese come sanno bene le massaie può “impazzire”, questo dipende o dagli ingredienti troppo freddi o da un’eccessiva precipitazione nel colarci l’olio. Si può recuperare, ma considerato il costo degli ingredienti conviene ripartire da capo(°°).
(°) – Il giallo della maionese è l’oro dell’alchimia, dicevano un tempo i ghiottoni.
(°°) – Due varianti di maionese cadute in disuso sono la “zingaresca” o bohémienne e la “moschettiera”. La prima consiste in una maionese che per ogni uovo prevede un cucchiaio di besciamella fredda, l’uso di aceto al dragoncello e pepe nero. La seconda contempla per ogni uovo un cucchiaio di brodo ristretto e alla fine l’aggiunta di un trito finissimo di maligie (come il dizionario della Crusca chiama indifferentemente lo scalogno, l’erba cipollina o le erbe cucinarie) e pepe bianco.
Salsa andalusa.
Per sei uova di maionese aggiungeteci un quinto del loro volume di purea fresca di pomodori maturi passati al setaccio e un peperone rosso scottato in acqua bollente, spellato e tagliato alla julienne.
Salsa remolata.
Per sei uova di maionese aggiungeteci un trito finissimo di capperi e cetriolini a cui avrete integrato del prezzemolo, dell’erba cipollina, del dragoncello, qualche pilucco di timo tritati fini. Regolate le quantità a piacere.
Salsa aïoli.
In un mortaio riducete a pasta dieci spicchi d’aglio con un pizzico di sale grosso. Mescolateci due tuorli d’uovo, un sospetto di noce moscata poi, facendolo colare goccia a goccia, una tazza d’olio d’oliva extravergine. Intervallate l’olio con il succo di un limone per avere una consistenza cremosa.
Salsa ravigotta.
In un mortaio mettete un pugnetto di prezzemolo tritato fine, un cucchiaino di sale grosso, un pizzico di pepe nero schiacciato con una lama, un cucchiaino di cerfoglio sminuzzato, una cipolla rossa finemente tritata, un cucchiaio raso di senape. Pestate il tutto con cura, travasatelo in una ciotola e con una frusta integrateci nell’ordine due cucchiai di aceto rosso e mezzo bicchiere d’olio d’oliva extravergine. Regolate il sale. È la salsa ideale per i piedini di vitello e di maiale.
Maionese alla panna.
Per sei uova di maionese preparata usando solo succo di limone, aggiungeteci un quarto del suo volume di panna liquida fresca montata a neve ferma.
Salsa del Vieux-Marché.
Il “vecchio mercato” è quello di Rouen, celebre per le sue anatre e per il rogo sulla sua piazza sul quale fu bruciata viva la Pucelle d’Orléan, Jeanne d’Arc. Passate al setaccio tre fegati d’anatra e due fegatini di pollo, conditeli con sale pepe nero e diluite l’impasto con un cucchiaio di fine Champagne o di Armagnac. Nel frattempo mescolate due tazze di salsa bordolese con un bicchiere di fondo bruno di vitello e riducete il tutto di almeno un terzo. Versate un mestolo di questa salsa sulla purea di fegati e amalgamate il tutto con una frusta. Adesso versate questo composto nella salsa, profumatelo con un cucchiaio di vino di Porto o due cucchiai di Sherry secco, regolate il sale e servite.
Questa salsa è anche chiamata al sangue. Appartiene al gruppo delle maledette, gonfie di ciò che era riservato esclusivamente agli dei. Affascina per la sua barbarie i turisti americani che possono permettersi un’anatra “certificata” alla Tour d’Argent di Parigi. Le povere bestiole si contano già con sette cifre!
E – Salse emulsionate calde.
Salsa olandese(°).
In una piccola casseruola versate un cucchiaio di aceto di vino bianco, uno di aceto di mele, qualche goccia d’acqua minerale naturale e un pizzico di pepe nero macinato al momento, fate ridurre il tutto di due terzi e lasciatelo raffreddare. A questo punto aggiungeteci due tuorli d’uovo freschissimi e senza tracce di albume e un altro cucchiaio d’acqua minerale. Mettete il recipiente a bagnomaria su un fuoco dolcissimo e con una frusta battete il composto senza farlo né bollire né attaccare alle pareti. Quando l’emulsione è divenuta una sorta di crema aggiungeteci goccia a goccia 120 grammi di burro fine e fresco sciolto a parte in un pentolino smaltato e chiarificato. Se la salsa tende ad ispessirsi troppo correggetela con qualche cucchiaino d’acqua minerale scaldata, dev’essere cremosa e salda. Salate quanto basta, se la volete più acida potete aggiungerci qualche goccia di succo di limone. La salsa olandese è molto sensibile al calore, se la scaldate troppo “impazzisce”, cioè si dissocia.
(°) – È un errore credere che questa salsa legata all’uovo venga dall’Olanda perché, come nel caso di altre salse – italiana, portoghese, spagnola, andalusa, eccetera – il nome è sempre il frutto di un capriccio o di una dedica sentimentale.
Salsa mousseline.
È una salsa olandese a cui, alla fine, è stata incorporata con estrema delicatezza della panna liquida fresca montata a neve ferma per un terzo del suo volume.
Salsa bérnaise.
In una piccola casseruola sciogliete una noce di burro, aggiungeteci un paio di scalogni tritati fini e cuocete il tutto a fuoco dolce per sette, otto minuti. Adesso aggiungeteci mezzo bicchiere di aceto di vino bianco, un cucchiaino di vino di Porto, un pizzico di cerfoglio, un pilucco di dragoncello, un sospetto di aneto, qualche grano di pepe schiacciato con una lama, riducete ad un terzo del suo volume il tutto e proseguite come per la salsa olandese. Dalla bérnaise si può passare alla salsa Choron(°) aggiungendoci un quarto del suo volume di purea di pomodoro fresca e molto concentrata.
(°) – Questa salsa prende il nome da Alexandre Étienne Choron (1772-1834) che l’inventò mescolando per errore, recita la piccola storia, una purea di pomodoro ad una salsa bérnaise. È consigliata per le carni rosse grigliate. Choron non è un cuoco, ma un musicologo di fama e un pioniere della pedagogia, era nato a Caen, capoluogo del Calvados, e la cucina era la sua seconda passione. Le salse per errore sono una costante gastronomica. Un’altra, recente, è la sauce Dallas di Dylan McCoy, che avrebbe fatto cadere inavvertitamente del ketchup nella maionese e poi pepato il composto per esaltarne il gusto. Va da sé, non c’è ragazzino americano che non abbia almeno una volta mescolato maionese in tubetto o, piuttosto, la Miracle Whip della Kraft e ketchup, ma allora qual è il merito di McCoy? Aver dato un nome al miscuglio. Questa pseudo-maionese ha poi ricevuto un’inaspettata popolarità con un clip di Lady Gaga, Telephone.
Salsa maltese.
È una salsa bernese a cui è stato aggiunto alla fine il sugo di un’arancia sanguigna non trattata, metà della sua scorza grattugiata e un cucchiaio di Grand Marnier o di Curaçao.
Zabaione al pepe.
Riunite in una casseruola di rame a fondo spesso cinque tuorli e 200 grammi di zucchero. Con una frusta batteteli fino a che non avrete ottenuto un composto bianco e cremoso che fila. Uniteci dodici grani di pepe nero schiacciati con una lama, un centimetro di tronchetto di vaniglia sminuzzato, due bicchieri di vino bianco secco, la scorza grattugiata di un limone non trattato, mezzo bicchiere di grappa di Malvasia o di Nocino(°). Cuocete il tutto a fuoco dolcissimo e a bagnomaria continuando a battere. Passate spesso la frusta contro i bordi e il fondo della casseruola per impedire la coagulazione dei tuorli. Lo zabaione deve ispessirsi e risultare compatto. A questo punto togliete il recipiente dal calore e versatelo in coppette fredde.
È la salsa ideale per lo zampone(°°) di Modena fresco che accompagnerete con piccole brioche confezionate con l’appareil per le patate duchessa(°°°).
(°) – Ideale sarebbe mezzo bicchiere di liquore di prugnolo selvatico o di vero aceto balsamico tradizionale di Modena affinato.
(°°) – Non è vero che il Cavalier Banana, che ha afflitto e umiliato la vita politica italiana, è stato colpito due sole volte al capo con un oggetto per mano di scriteriati. Chi scrive ne conosce un’altra che risale al 1973, quando aveva di suo qualche capello in testa ed era meno bolso e incipriato. Il merito è tutto di un amico scomparso, Gianni Sassi che, tirandoglielo dietro mentre il Banana scendeva a precipizio le scale, gli restituì uno zampone con cui si era presentato a casa sua come ospite per il party di capodanno. Che ci faceva costui in quella casa dalle parti di piazzale Martini a Milano? Era stato invitato per discutere un progetto che stava a cuore ad un amico di Sassi, suo collaboratore nonché produttore cine-televisivo nell’agenzia di pubblicità che dirigeva come art-director, insieme a mille altre sconclusionate iniziative di quegl’anni. Il progetto è presto raccontato, una specie di telegiornale della moda abbigliamento che volevano proporre al Cavalier Banana per le sue reti televisive. Anche allora il Banana era molto indaffarato e non era facile parlargli. Come fecero? L’amico produttore di Sassi sapeva che il Banana era ossessionato dal sesso e che non si sarebbe fatto sfuggire un party con donne belle, giovani e disponibili, dunque ne reclutarono una manciata. Erano modelle che il piccolo produttore interessato al telegiornale di moda aveva invitato tramite la sua compagna, una ex-indossatrice tedesca. La discussione sul progetto, però, non durò che pochi minuti, il tempo per il Banana di accorgersi di essere finito in un covo di “comunisti” (sic!), tanto che si alzò di scatto, recuperò in tutta fretta il cappotto in camera da letto e scappò inseguito da Sassi che nel frattempo era entrato in cucina ed aveva afferrato lo zampone. Glielo tirò sul capo mentre il Banana scendeva le scale. Come andò a finire? Le lenticchie quella sera, per devozione, fecero da letto a dei cotechini, il telegiornale di moda fu poi fatto da altri qualche anno dopo. Chi scrive, invitato più che altro a far da comparsa in questa commedia di cui venne a sapere lo scopo soltanto dopo il tiro dello zampone, ebbe un pizzico di fortuna, una delle ragazze presenti si lasciò riaccompagnare nella pensione in cui alloggiava in Piazza San Babila. La rivide solo un’altra volta, distesa sulle due pagine centrali di Playmen.
Chi è il Cavalier Banana? I pochi che leggeranno questa nota lo sanno, anche se è stato consegnato alle pattumiere della storia. Chi scrive ebbe la disavventura una manciata di anni dopo di fornire servizi di catering alle sue aziende e di conoscerlo per quello che è. Un povero narcisista ignorante.
(°°°) – L’appareil per questa preparazione è composto da una purea di patate passate al setaccio a cui si aggiunge burro, uova, noce moscata e pepe. Una volta steso su un piano imburrato si usa per confezionare piccole brioche, chenelle, schiacciatine.
Je ne m’etendrai pas sur le sauces nombreuses,
Les coulis variés et les farces heureuses
Qu’inventa le génie éclairé par le goût.
Joseph Berchoux.
F – Salse storiche(°)
(°) – Abbiamo chiamato salse storiche quelle nate prime del diciottesimo secolo e che non fanno parte della filiazione di quelle dette “madri”. L’ordine non è strettamente cronologico.
Una salsa di Vinidarius per i gamberi.
In un mortaio pestate con cura un cucchiaino di grani di pepe, uno di grani di sedano e un cucchiaio di fiori secchi di ligusto. Raccoglieteli in un recipiente con un cucchiaio di garum, mezzo bicchiere di aceto e due tuorli d’uovo. Mescolate il tutto, regolate il sale e servite la salsa a parte con i gamberi allessati(°).
(°) – Potete sostituire il garum con della salsa di soia. Di Vinidarius sappiamo che visse intorno al quinto secolo dell’era comune e che molto probabilmente era goto. Il manoscritto delle sue ricette risale all’ottavo secolo ed è spesso presentato come un appendice al testo di Apicio.
Murri o almori.
Probabilmente è un condimento bizantino che migrò nel corso del Medioevo nella cultura araba. Molti lo ritengono una variante del garum per via della sua pronuncia “al-Muri” che fa supporre una derivazione dal greco halmuris da cui discende anche salmuria (salamoia). Si può ricavare sia dai pesci che dall’orzo macerato con le foglie di fico. Una scorciatoia consiste nel cuocere un pane di farina d’orzo molto salato, sbriciolato, lasciato in ammollo per un paio di giorni e filtrato. Con questo si fa bollire e si addensa un miscuglio di uvetta, carrube, sesamo, anice, foglie di cedro, semi di nigella e di sedano. Il murri serve ancora oggi a cagliare il latte per fare un formaggio cremoso chiamato chamakh.
L’antica ricetta dal al-Kiab Wasf al-At’ima a-Mu’tada (Cairo, 1373) inizia invocando il nome di Dio e delle pagnotte di pane scurite dalla cottura. Quella che segue è la ricetta riscritta per rendere possibile oggi preparare il murri. In una casseruola portate a ebollizione ottanta grammi di miele di acacia, lasciatelo raffreddare e ripetete l’operazione fino a che non diventa simile ad un caramello. Intanto in un mortaio riducete a farina tre fette di pane biscottato, i gherigli di cinque noci, due cucchiai di semi di anice, due di sedano, due di nigella, una carruba senza semi. Versateli nel miele insieme a un pizzico di zafferano, 80 grammi di sale e un paio di tazze d’acqua. Mescolate e aggiungeteci un cucchiaio di amido di mais. Portate a ebollizione questo impasto fino a quando non si è ridotto di almeno un terzo. Adesso aiutandovi con un po’ di succo di limone filtrate l’impasto ed aggiungeteci un quarto di mela cotogna grattugiata. Il murri in questa versione si conserva in frigorifero. Potete provarlo sulle carni allessate.
Una salsa nella traduzione del “signor contino carissimo”.
Il contino è Giacomo Leopardi e la salsa è nel Moretum che lui tradusse nel 1816, un testo che fu dapprima attribuito a Virgilio e poi a Settimio Sereno o Severo.
Il componimento poetico descrive l’alba in casa di un vecchio contadino. Costui si alza macina il grano che una “schiava” trasforma in un impasto per focaccia per poi metterlo sotto la cenere calda del camino. Intanto il contadino va nell’orto a raccogliere il condimento per “salsarlo”. Erba ruta, cima d’appio – dovrebbe essere il sedano – cipolla, aglio, ruchetta, porro. Tutte erbe che pesta nel mortaio con olio, aceto, coriandolo e poi mette sulla focaccia cotta.
Se ci fosse stato anche il basilico sarebbe un “pesto” piuttosto che una pizza bianca come molti credono. In ogni modo nella bassa mantovana si prepara ancora oggi una torta di verdure detta marazzone. Se forziamo l’etimo forse c’è un ricordo.
Salsa camelina di Tournai(°).
Mettete a mollo in una tazza con acqua e aceto bianco una fetta di pane toscano. In un’altra tazza sciogliete in un mezzo bicchiere di vino bianco secco un cucchiaino di zenzero macinato, un pezzetto di tronchetto di cannella sbriciolato, qualche stimma di zafferano, alcune prese di noce moscata, tre cucchiai di zucchero grezzo o di canna. Adesso, strizzate con cura il pane, schiacciatelo con una forchetta ed integratelo al vino con le spezie. Passate tutto al setaccio e portatelo ad ebollizione in un pentolino, completate la cottura a fuoco dolcissimo. Regolate il sale. Questa salsa è indicata soprattutto con il pesce alla griglia. Le varianti sono numerose, si possono aggiungere un paio di cucchiai di farina di mandorle, dell’uva passa, dei chiodi di garofano tritati e invece di usare del vino o dell’aceto di vino si possono mettere il pane e le spezie in un aceto di mele leggermente diluito in un po’ d’acqua.
(°) – Le origini di questo comune francofono del Belgio si perdono nel tempo. I ritrovamenti archeologici hanno provato che già esisteva intorno al secondo secolo prima dell’era comune sul sito di un castrum romano. Notevole è stata in passato la sua importanza culturale testimoniata anche dal fatto che nel Medioevo rappresentava una tappa obbligata per i pellegrini che dal Nord si dirigevano verso Santiago di Compostela. La ricetta di questa salsa è tratta da Le Menagier de Paris il cui manoscritto risale al 1393.
Poudre de duc.
In un barattolo a chiusura ermetica, così si conserva senza ammuffire, mettete trenta grammi di zucchero fine o di cassonade, trenta grammi di cannella sbriciolata, quindici grammi di zenzero grattuggiato, venti grammi di semi di cardamomo schiacciati con una bottiglia, se volete usare un vecchio metodo contadino, cinque grammi di noce moscata grattuggiata, sei chiodi di garofano tritati. Mescolate il tutto con cura. Questa “polvere”, a cui potete aggiungere il sale, è adatta per le carni rosse arrostite.
Altre polveri.
Polveri erano chiamate nel Medioevo e nella prima parte del Rinascimento le miscele di spezie. Polveri che saccheggiano “come un vile erborista/ Lo scrigno opulento della primavera” (Mallarmé). Tra queste miscele le più popolari erano la polvere dolce, la polvere bianca, la polvere
fine e la polvere buona. In genere la proporzione tra le spezie non è indicata e spesso anche il loro elenco è approssimativo. Possiamo dire che quasi tutte le polveri prevedono lo zenzero e a scalare la cannella, i chiodi di garofano, il pepe, lo zafferano, la noce moscata. Più rare le miscele con coriandolo, galanga, grani del paradiso, pepe a chicco lungo, macis, fiori di cannella e zucchero. L’origine delle polveri e italiana, catalana, castigliana e francese, quanto all’espressione di polvere deriva dalle istruzioni delle ricette, che prevedono il “ridurre in polvere”.
Prima polvere: Sette once di zenzero, un oncia e mezza di cannella e di pepe nero, un oncia di chiodi di garofano, un quarto d’oncia di macis, di noce moscata, di zafferano.
Seconda polvere: Un’oncia di pepe nero, di cannella e di zenzero. Un quarto d’oncia di chiodi di garofano e di zafferano.
Terza polvere: Un’oncia di zenzero e di cannella, un quarto d’oncia di chiodi di garofano e di grani di paradiso, tre once di zucchero grezzo.
Quarta polvere: Quattro once di zenzero, tre once di cannella, un’oncia e mezza di chiodi di garofano e di macis, un’oncia di pepe nero, un quarto d’oncia di zafferano.
Quinta polvere: Quattro once di zenzero, tre once di cannella, due once di pepe nero, un oncia e mezza di pepe a chicco lungo, di noce moscata, di chiodi di garofano, di grani di paradiso, un’oncia di galanga.
Qui un’oncia corrisponde a circa 26 grammi. Le spezie vanno passate al mortaio e conservate in vasetti chiusi non trasparenti. Si mescolano ai brodi o alle riduzioni per ottenere le salse(°).
(°) – Queste polveri sono state ricavate dai vari ricettari manoscritti conosciuti, in qualche caso le quantità non corrispondono con altre traduzioni conosciute.
Sauce dodine.
Etimologicamente la dodine(°) è una salsa a base di fondo di volatili arrostiti, vino o agresto. L’origine di questa espressione è incerta. François Rabelais parla di anatre alla dodine come di un ragoût per gastrolatri. In Italia, nel Seicento, si chiamava dodine una salsa di cipolle per anatre.
Aultre dodine de vert jus sur oiseaultx de rivière, chappon, ou aultre volatile de rost, mettés le vert jus dessoubs le rost en une paelle de fer, puis prenés moyeulx d’oeufs deurs et demy douzaine de foyes de poullailles, et que les foyes soient un peu rotis sur le gril, et les passés par l’estamine avecques le vert jus tout pur et y mettés ung peu de gingembre et du persil effueillé dedens, et tout bouilly ensemble, et mettés sur le rost, et des tostées de pain hallé dessoubz le rost, et pareillement dedans aultre dodine.
(°) – Questa ricetta è di Taillevent. In quella più famosa per la lepre compaiono anche i chiodi di garofano e il pepe, ma restano le fette di pane tostato sul fondo. A questo proposito si potrebbe dire che il passaggio dalle brode e dalle soupes ai sughi sia avvenuto attraverso gli “accomodamenti” realizzati con delle grosse fette di pagnotte imbevute oltre che di fondi e condimenti, di brodi, latte, vino, acqua di rose, zucchero e spezie varie. In altre parole erano un espediente per mitigare il dominio dello spiedo, una cottura aristocratica, ma insipida. Una zuppa a cavallo tra le brode e le salse è la supa coada della Marca Trevigiana, cioè, “covata”. La “covatura” aprirà poi le porte all’arte della “stufatura”, almeno là dove c’è un clima freddo, con la legna dei boschi e un camino. Infine va anche osservato che nella stragrande parte degli epulari fino al sedicesimo secolo l’arte di dar sapore ai cibi era molto sbrigativa. A leggere le ricette per le salse sembra di poter dedurre che il consiglio fosse di gettare tutto ciò che si aveva a disposizione in pentola a cucchiaiate, once o libbre, tanto qualcosa sarebbe successo.
Salsa « dodine », una variante.
Saltate in un tegame un’anatra o una tacchinella tagliata a pezzi e condita a piacere con sale pepe e noce moscata. A fine cottura recuperate il fondo del tegame deglassandolo con un cucchiaio di aceto, filtratelo. In un pentolino amalgamate questo fondo con il tuorlo di tre uova sode e il fegato del volatile saltato nel burro che avrete tritato insieme con cura. Aggiungeteci cinquanta grammi di burro, il succo di un limone e mezzo cucchiaino di zenzero fresco tritato, regolate il sale. Parte di questa salsa la potrete usare per condire delle fette di pane senza sale, versate il rimanente sui pezzi di carne, spolverate il tutto con del prezzemolo e servite.
Salsa limonia.
Dopo che avrete saltato in padella una pollastra tagliata a pezzi e salata con cinquanta grammi di lardo magro a dadini recuperate il fondo e filtratelo. Mettetelo in un pentolino con cinquanta grammi di burro, trenta grammi di farina di mandorle, il succo e la scorza grattugiata di due limoni non trattati. Amalgamate il tutto, regolate il sale e il pepe e versate questa salsa sulla pollastra. Decorate i bordi del piatto di portata con dei limoni tagliati in quattro e spargete sui pezzi di carne un pugnetto di mandole sfilettate
Sauce aux fruits.
Denocciolate dieci prugne secche con cinque datteri naturali, quelli senza la glassa di glucosio. Tagliate il tutto a pezzettini molto piccoli. Ammorbidite una tazza di uvetta secca in un po’ di vino bianco dolce. In una casseruola raccogliete il fondo di cottura di un fagiano tagliato a pezzi, condito e saltato in padella. Aggiungeteci un bicchiere di vino rosso, la punta rispettivamente di un cucchiaino di cannella in polvere, pepe nero macinato, noce moscata e chiodi di garofano e, poi, un cucchiaino di zenzero fresco tritato, due cucchiai di aceto di vino rosso, un cucchiaio di zucchero. Raccogliete il tutto e mescolatelo con la mollica secca di una fetta di pane non salato. Cuocete a fuoco dolce per una ventina di minuti. Con una spatola passate tutto al setaccio, regolate il sale e versate la salsa sui pezzi di fagiano disposti su un piatto di portata.
Salsa di noci acida.
Ideale per le carni bianche servite fredde e per le verdure allessate. In una casseruola appassite un paio di cipolle tritate fini con olio di girasole. Aggiungeteci un bicchiere di brodo di pollo e il succo dei grani di una melagrana (balausta) estratto strizzandoli con un panno. Appena il tutto accenna a bollire aggiungeteci una tazza di farina di noci, un centimetro di tronchetto di cannella sbriciolato, un pizzico di peperoncino, un cucchiaino di semi di coriandolo tritati, qualche grano di pepe nero schiacciato con una lama. Amalgamate con cura il tutto, fuori dal fuoco aggiungeteci qualche cucchiaio di yogurt magro, mescolate, regolate il sale e servite.
Due salse di Bartolomeo Sacchi, detto il Platina(°).
Salsa verde, uno.
Pesterai nel mortaio prezzemolo, serpillo, biete e altre erbe odorose con un po’ di zenzero, di cinnamomo e di sale. Aggiungerai dell’aceto forte, e passerai il tutto al setaccio. Se ami l’aglio ne metterai più o meno a seconda del gusto. Questa salsa nutre poco, riscalda lo stomaco e il fegato, ma dà appetito.
Pseudo-maionese.
Disciogli nell’agresto un po’ di zafferano, due rossi d’uovo con delle mandorle pestate e dello zenzero. Passa tutto allo staccio. Questa salsa nutre bene, aiuta il cuore e il fegato.
(°) – Il Sacchi nel 1475 quando a Venezia da alle stampe Della onesta voluttà ha più di cinquant’anni, è stato soldato, precettore, cortigiano, studioso di letteratura greca, abbreviato apostolico sotto papa Pio II e ospite delle galere pontificie sotto papa Paolo II. Vi soggiornerà due volte per irreligiosità, empietà e complotto. Perdonato, ma le ragioni sono sospette, nel 1475, sotto papa Sisto IV, arriverà la sua nomina a prefetto della Biblioteca Vaticana. È forse per caso che Antonello da Messina nella sua tela su Sisto IV lo rappresentò inginocchiato in primo piano con il dito tesò, segno dei delatori? In ogni modo fu uno dei primi a scorgere negli atti cucinari un elemento umanistico degno di attenzione. Quanto al suo libro in pochi anni fu ristampato più volte, anche con il testo in volgare e nel 1505 ne uscì un versione in francese a cura di Desdier Chrispol, priore di Saint-Maurice in quel di Montpellier.
Salsa verde.
“Questa salsa, della cui origine tedesca non sono sicuro, sembrerebbe piuttosto un ponte fra Italia (olio e prezzemolo) e Germania (aceto e zucchero). È comunque diversa dalla normale salsa verde di cui ignora molti dei troppi ingredienti abituali…”.
“Trita finissimo il prezzemolo, mettilo nella salsiera, versaci sopra poco olio d’oliva, mescola per fare assorbire all’olio l’aroma del prezzemolo, quindi completa il condimento con sale, pepe, abbastanza aceto e zucchero quanto basta per addolcire l’aceto. Se l’aceto fosse forte aggiungi un po’ di vino rosso, anche perché la salsa non sia troppo densa.
Provala col lesso caldo, con l’arrosto freddo, con le polpette fredde, con le uova barzotte tagliate in due, in ciapp – in chiappe – come dicono i milanesi”(°).
(°) – Aldo Buzzi, L’uovo alla Kok, cit.
Salsa bianca per asparagi (La Varenne).
In una casseruola a bagnomaria versate un tuorlo d’uovo, un cucchiaio abbondante di aceto di vino bianco, un pizzico di sale e uno di noce moscata, qualche pilucco di cerfoglio, una noce di burro. Mescolate il composto delicatamente con una frusta. Appena è omogeneo integrateci fiocco dopo fiocco cinquanta grammi di burro. La salsa deve risultare brillante e cremosa, regolate il sale e servitela in una salsiera.
Sauce italienne.
Questa salsa è destinata agli arrosti. In una casseruola fate ridurre della metà tre quarti di litro di un fondo bruno. In un’altra casseruola tostate tre cucchiai di farina bianca setacciata con tre cucchiai di burro. Appena la farina è scurita versateci sopra il fondo che avete ristretto. Menon chiama questa preparazione culì. Intanto in un tegame con un cucchiaio d’olio d’oliva cuocete a fuoco dolce per almeno dieci minuti 250 grammi di prosciutto crudo tagliato a fette, 125 grammi di champignon puliti e affettati, tre scalogni e uno spicchio d’aglio tritati fini, una foglia d’alloro, un pizzico di pepe nero. Aggiungeteci due tazze di brodo chiaro, un bicchiere di vino bianco secco e il culì, portate a bollore e poi sempre a fuoco dolce continuate la cottura per altri quarantacinque minuti almeno. Passate il tutto al setaccio e rimettetelo sul fuoco con una noce di burro fino a quando la salsa non diventi lucida e morbida come una crema. Regolate il sale e servite.
La sauce italienne in qualche modo preannuncia le salse madri brune. Può essere migliorata sostituendo il vino bianco con dello Champagne o, al limite, con dello spumante secco(°).
(°) – Da Menon, La cuisiniere bourgeoise, Parigi,1746.
Salsa saorina e salsa reale, due salse di Bartolomeo Stefani(°).
La saorina è una salsa dal sapore dolciastro oggi in disuso salvo in alcune cucine contadine del mantovano e del ferrarese. Accompagnava la polenta, serve a riempire e a condire i tortelli sguazzarotti(°°).
In una casseruola fate ritirare della metà una bottiglia di vino rosso, ideale per questa salsa un Recioto della Valpolicella, aggiungeteci una tazza di brodo leggero, mezzo chilo di polpa di zucca bitorzoluta tagliata a tocchetti, 300 grammi di gherigli di noce tritati fini, 100 grammi di zucchero e 100 di pane secco grattugiato, una mela grattugiata o il succo di un limone, la scorza grattugiata di tre arance, qualche chiodo di garofano, mezzo tronchetto di cannella. Portate la casseruola a ebollizione e poi a fuoco dolce e a recipiente coperto cuocete il tutto per quaranta minuti. Passate al setaccio, regolate il sale e servite.
(°) – Della vita di questo cuoco che servì papa Pio V si sa molto poco. La sua opera, L’arte di ben cucinare et instruire… fu pubblicata in lingua italiana nel 1662 a Mantova.
(°°) – Tortelli sguazzarotti cioè che sguazzano nella salsa. Fate l’impasto – per mezzo chilo di farina setacciata – con quattro uova intere e due tuorli, la scorza di un arancio grattugiata, un bicchiere di vino rosso – lo stesso della salsa – acqua e sale quanto basta. Tirate la pasta finissima e ritagliatela a quadretti di circa otto centimetri. Riempiteli con il loro impasto e sigillateli a triangolo. Fate l’impasto con dei borlotti allessati e passati al setaccio a cui avrete aggiunto lo stesso peso di salsa saorina, poi, per ogni mezzo chilo di ripieno, sbriciolateci dentro cinque amaretti. Al momento di servirli metteteli in un coccio e inzuppateli bene di salsa, deve coprirli a filo.
La salse reale è una salsa per gli arrosti di selvaggina. In una casseruola smaltata mettete novanta grammi di zucchero fine con trenta grammi di cannella in tronchetto, quindici di chiodi di garofano, due bicchieri di aceto balsamico. Sigillate la casseruola e a fuoco lento fate ridurre il tutto della metà, filtrate, regolate il sale e il pepe e servite.
Salsa “remoulade”.
Anche questa è una salsa di Menon. In una bastarda raccogliete due scalogni e un cipollotto novello tritati finissimi, due cucchiai di prezzemolo anch’essi tritati, uno spicchio d’aglio schiacciato con una lama, due filetti di acciuga schiacciati con un cucchiaio di capperi, un cucchiaio di senape di Digione. A filo, mescolando, versateci un bicchiere di aceto di vino rosso e un altro d’olio d’oliva extravergine. Passate tutto al setaccio, regolate il sale e servite.
Salsa ravigotta alla moda antica.
È una variante popolare ottocentesca. Imbianchite 150 grammi di ruchetta con 100 grammi di crescione di fonte, un pugnetto di prezzemolo, uno di pimpinella e uno di cerfoglio. Tritateli insieme a un alice spinata, uno spicchio d’aglio, uno scalogno, il succo di un limone, un paio di cucchiai d’olio d’oliva. Passate il tutto al setaccio, regolate il sale e il pepe. La salsa deve risultare densa e cremosa, se volete potete aggiungerci dei capperi o dei cetriolini tritati fini.
Salsa legata per il pavone arrosto. Ideale oggi per la faraona. Arrostire sulla fiamma due spiedini di fegatini di pollo puliti, lavati e asciugati. Nel frattempo dorate una fetta di pane toscano e inzuppatela con del vino chiaretto e qualche goccia di aceto bianco. In un mortaio pestate insieme i fegatini e il pane, aggiungeteci un cucchiaio di zenzero fresco tritato, un terzo di un tronchetto di cannella sbriciolata, un pizzico di meleghetta(°), la punta di un cucchiaino di noce moscata, un chiodo di garofano. Stemperate con altro vino quanto basta, aggiungeteci un cucchiaio di zucchero di canna e cuocete il tutto a bagnomaria per una quindicina di minuti. Regolate il sale e poi valutate l’agrodolce aggiungendo o altro aceto o altro zucchero.
(°) – Meleghetta (aframomum meleguetta) è l’altro nome dei grani di paradiso che i francesi chiamano maniguette. Cresce nella zona litorale dell’Africa Tropicale. Il nome deriva da melega (sorgo).
Qualche salsa di Maître Chiquart.
Salsa per il filetto di cinghiale. Tostate alcune fette di pane bianco o di pane al latte. Quando il dorato sulle fette volge al bruciato mettetele in un mortaio, bagnatele con del vino rosato, qualche cucchiaio di fondo scuro e qualche goccia di aceto bianco. Pestate il tutto integrandoci un cucchiaio di zenzero fresco, un pizzico di meleghetta, qualche grano di pepe nero che avrete schiacciato con una lama, un cucchiaino colmo di noce moscata, un sospetto di macis, mezzo tronchetto di cannella sbriciolata. Passate il composto al setaccio e mettetelo sul fuoco a bagnomaria per una decina di minuti. Regolate il sale e servite.
Jance. Questa salsa oggi può servire per accompagnare delle polpette di manzo. In un mortaio, aiutandovi con un bicchiere di vino bianco secco e un bicchiere di succo di uva acerba filtrato, trasformate in una purea liquida ottanta grammi di mandorle spellate e tre spicchi d’aglio. Aggiungeteci un cucchiaino di zenzero fresco tritato e passate tutto al setaccio. Mettete questo composto per cinque minuti su un fuoco dolce mescolando in continuazione, regolate il sale e servite.
Salsa per lamprede, murene e anguille arrostite. Nella padella in cui avete arrostito i pesci tostateci qualche fetta di pane bianco e poi deglassatela con aceto bianco e un cucchiaino di zucchero. Passate al mortaio il pane e riducetelo ad una crema con l’aggiunta di vino bianco secco. Condite il tutto con un cucchiaio di cannella in polvere, un cucchiaino di zenzero fresco, un pizzico di meleghetta, due chiodi di garofano, mezzo cucchiaino di noce moscata e una punta di macis, un sospetto di galanga e di pepe bianco. Passate al setaccio il composto, allungatelo con un cucchiaio di aceto bianco, regolate il sale e cuocetelo a fuoco dolce mescolandolo con una frusta.
Una salsa per gamberi.
In un mortaio raccogliete le chele di 250 grammi di gamberi che avrete bollito e sgusciato. Aggiungeteci due cucchiai di strutto, una fetta di pane bianco, un paio di gamberi, tre cucchiai di birra. Battete il tutto fino ad ottenere un impasto morbido. In una casseruola a bagnomaria sistemate questo impasto, aggiungeteci mezza tazza del liquido di cottura dei gamberi e mezza tazza di vino bianco secco, la parte bianca di mezzo porro e uno scalogno tritati fini, un pizzico di noce moscata e uno di pepe bianco. Cuocete il tutto per almeno quindici minuti, passatelo al setaccio, regolate il sale e servite(°).
(°) – Dal manoscritto di cucina dell’Abbazia di Tegernee, 1535. Le dosi sono state leggermente modificate per adattarle al gusto di oggi.
Due salse “poetiche” di Bartolomeo Stefani.
Salsa al gelsomino per carni bianche.
In un mortaio pestate due pugni di fiori di gelsomino seccati con un cucchiaio di miele, mezzo tronchetto di cannella mezzo cucchiaino di noce moscata, un bicchiere di panna liquida fresca. Passate al setaccio il tutto e versatelo in un casseruola con una noce di burro, un cucchiaio di farina e mezza Salsa al cioccolato per carciofi.
È un’antica salsa siciliana che tratta i carciofi come se fossero un dessert. Fate un impasto in un mortaio con 100 grammi di mandorle spellate, un paio di fette di pane secco, una dozzina di olive verdi snocciolate, un alice spellata, tre cucchiai di zucchero, un bicchiere di aceto bianco. Passate tutto al setaccio e mettetelo in una casseruola con 100 grammi di cioccolato fondente. Cuocete a fuoco dolce rimescolando il tutto con una frusta. Appena è ben amalgamato usatelo per farcire dei carciofi che avrete allessato in acqua e succo di limone e raffreddato. Spolverateli di farina di mandorle e serviteli. Se volete potete usarli anche come contorno per pesci allessati senza altro condimento.
tazza di brodo. Portate a bollore mescolando con una frusta, appena bolle allontanate la salsa dal fuoco, regolate il sale e il pepe e decoratela con fiori freschi di gelsomino. Servitela con le carni bianche o la lonza di maiale che potrete accompagnare con rondelle di banana fritte in olio di oliva con uno spicchio d’aglio.
Salsa al melograno.
Anche questa salsa è per le carni bianche saltate in padella. In una casseruola fate appassire con un bicchiere d’olio d’oliva uno scalogno tritato fine, uno spicchio d’aglio intero e un peperoncino rosso fresco. Togliete l’aglio e il peperoncino e versate nella casseruola il succo di un limone, quello dei grani di due melograni maturi, due noci di burro e due cucchiai di farina. Portate ad ebollizione lavorando la salsa con una frusta, lontano dal fuoco regolare il sale e il pepe, versateci qualche grano di melograno intero e servite.
Un “gravy” di Hannah Glasse.
In una casseruola sistemate 250 grammi di spezzatino di manzo e altrettanti di spalla di agnello disossati e tagliati a tocchetti. Copriteli con tre o quattro fette di pancetta, versateci sopra una carota tagliata alla julienne, una lamella di macis fresco, quattro chiodi di garofano, mezzo cucchiaino di grani di pepe nero, un bouquet garni composto da alloro, prezzemolo, cerfoglio, santoreggia, timo e qualche fogliolina di menta. Infine sistemate su tutto 250 grammi di spezzatino di vitello, anche questo disossato. Coprite la casseruola e a fuoco dolcissimo fate trasudare la carne. Cospargete il contenuto della casseruola con due cucchiai di farina bianca, mescolate, versateci un cucchiaio di aceto, un bicchiere di birra e mezzo litro di acqua. Fate sobbollire per almeno un’ora a recipiente coperto. A questo punto passate tutto al setaccio e rimettete il gravy sul fuoco con una noce di burro. Fatelo addensare e regolate il sale(°).
(°) – Da The art of Cookery, London 1747. Hannah Glasse (1708-1770) ebbe una vita ardimentosa e disperata, ricca di successi e sconfitte. È l’autrice del più celebre libro inglese di cucina del diciottesimo secolo, la cui prima edizione uscì anonimo, con l’indicazione, by a Lady. Il mistero affascinò i lettori, solo alla quarta edizione comparve la firma “H. Glasse”, un altro mistero, visto che nessuno la conosceva. Le cronache del tempo arrivarono a scrivere che in realtà il libro era opera di un uomo. Solo nel 1900 grazie a Madeleine Hope Dodds, una storica, fu possibile identificare nel Northumberland una famiglia Allgood, il cui capofamiglia Sir Lancelot, aveva avuto una sorella di nome Hannah andata sposa ad un certo John Glasse. Nella terza edizione di Professed Cookery, di una certa Anna Cook, uscita nel 1760, c’è una filastrocca malevola contro la Glasse, recita pressappoco così: “Ruba da tutti e infila nel suo libro/ Marchia d’infamia il cuoco saccheggiato/ Con trucchi folli e mille capriole”.
Tre salse di Charles Elme Francatelli per le classi lavoratrici, Londra, 1852(°).
(°) – C.E. Francatelli (1805-1876) è un cuoco inglese figlio di emigranti italiani. Studiò cucina in Francia con Antonin Carême, ritornato in Inghilterra fu applaudito per aver saputo mescolare il gusto italiano alla tradizione inglese. Va detto che fu capo cuoco della regina Vittoria e chef del Reform Club. Scrisse diversi libri di cucina tra cui The Royal English and Foreign Confectionery Book (1862) e A Plain Cookery Book for the Working Classes (1852) da cui sono tratte queste tre ricette. Fu definito “Chef to nobility and cook for the common man”.
Salsa di pane.
In un litro di latte fate bollire una cipolla o un paio di scalogni tritati fini, aggiungeteci 300 grammi di mollica di pane, una noce di burro, sale, pepe quanto basta. Cuocete il tutto per circa dieci minuti mescolando con cura. Questa salsa si usa per le carni bianche, di pollo o di tacchino e per la selvaggina da penna(°).
(°) – Potete sostituire una parte del latte con della panna liquida fresca e insaporire con dei chiodi di garofano.
Salsa all’uovo.
Impastate con cura una noce di burro due uova e un tuorlo sodi. A parte in una casseruola tostate 100 grammi di farina setacciata con cinquanta grammi di burro, aggiungeteci un quarto di litro d’acqua, pepe e sale quanto basta, mescolate il tutto finché non comincia a bollire. Ritirate la casseruola dal fuoco e incorporateci le uova. Questa salsa è adatta per il pollame e gli arrosti in genere.
Salsa piccante
In una casseruola bollite per cinque o sei minuti in una tazza di aceto un cucchiaino di senape, una noce di burro, una cipolla tritata fine, qualche sottoaceto e un peperone tagliato alla julienne. Aggiungeteci un cucchiaio da cucina di pane grattugiato e un bicchiere d’acqua, regolate il sale e cuocete il tutto per dieci minuti. La salsa è consigliata per gli avanzi grigliati di carne e di pesce oppure per gli stufati.
Salsa del “pover’uomo”.
Deriva dalla salsa piccante di Francatelli che era anche chiamata “poor man’s sauce”. In una casseruola fate un roux bruno con trenta grammi di burro. Aggiungeteci una tazza di brodo, due cucchiai di aceto, ottimo quello in cui sono conservati i cetriolini, cuocete il tutto per qualche minuto, integrateci uno scalogno, che avrete scottato in acqua calda, e un cucchiaio di prezzemolo tritati finemente, un pizzico di erba cipollina strappata con le dita, un cucchiaio di pane secco grattato, sale e pepe quanto basta. Mescolate con cura e servite.
Il progresso della civiltà è stato accompagnato dal progresso della culinaria.
F.M. Farmer.
Condimento cotto.
È una salsa semplice della bostoniana Fannie Merrit Farmer(°) pubblicata nel suo The original Fannie Farmer cook book (1896). In una casseruola a bagnomaria sistemate mezzo cucchiaio di senape, quattro cucchiaini da tè di zucchero, un uovo sbattuto, due noci di burro ammorbidite, un bicchiere di panna liquida fresca. Mescolate energicamente con una frusta mentre versate nel recipiente molto lentamente mezzo bicchiere di aceto. Quando il composto è addensato e cremoso regolate il sale. Filtrate il tutto e servite.
(°) – Fannie M. Farmer (1857-1915) è considerata una delle madri della cucina americana e del governo della casa. Diresse con successo la “The Boston Cooking-School” dopo esserne stata un’allieva. Fu lei che cambiò nelle ricette di lingua inglese, grazie al successo del suo libro, le misure in grammi e in centilitri con i misurini standardizzati e le tazze.
G – Salse speciali e esotiche(°).
(°) – Fino alla prima guerra mondiale le salse cosiddette esotiche appartenevano quasi tutte alla cucina inglese, la loro massima popolarità l’ottennero con il contributo di Auguste Escoffier quando era direttore del Carlton Hotel di Londra. Una particolarità molto apprezzata delle salse inglesi è di poter essere affinate e conservate per il consumo estemporaneo.
Aromatic sauce.
In una casseruola scaldate un litro di brodo di pollo ristretto. Metteteci in infusione per almeno quindici minuti una dozzina di foglie di basilico, un pilucco di santoreggia, uno di maggiorana e uno di salvia, una cipollina tritata, un pizzico di macis, cinque grani di pepe. Passate tutto al setaccio e legate con settanta grammi di roux bianco, il succo di un limone, un cucchiaino di cerfoglio tritato e uno di serpentaria, regolate il sale e servite.
Yorkshire sauce.
Fate bollire per un paio di minuti la scorza di mezza arancia tagliata alla julienne in due bicchieri di vino di Porto rosso e poi toglietela. Aggiungete al Porto mezzo bicchiere di spagnola, un cucchiaio di gelatina di ribes, un pizzico di cannella in polvere e un sospetto di pepe nero. Mescolate con cura e riscaldate, passate il tutto alla stamigna. Fuori dal fuoco integrate alla salsa un cucchiaio di succo d’arancia e l’altra metà della sua scorza grattugiata. Regolate il sale e servite. Un tempo era la salsa che accompagnava gli anatroccoli arrosto e il prosciutto al fieno.
Cold horse radish sauce.
In una terrina diluite con due cucchiai di aceto bianco un cucchiaio di senape. Aggiungeteci 200 grammi di rafano fresco grattugiato, trenta grammi di zucchero fine, due bicchieri di panna liquida fresca, 200 grammi di mollica di pane bagnata nel latte e strizzata. Mescolate con una frusta il tutto e regolate il sale.
Salsa per le aragoste all’americana.
La ricetta è celebre(°) e la si deve a Fraysse che gestiva il ristorante Noël Peter’s al Passage du Princes di Parigi. Di questo ristorante la piccola storia ricorda la cena per il capodanno del 1870, durante la Commune. Ecco il menu: Hors d’oeuvre: Sardines, céleri, beurre et olives. Potage: Sajou (scimmia) au vin de Bordeaux. Relevé: Saumon à la Berzelius. Entrée: Escalopes d’éléphant, sauce aux échalotes. Rôt: Ours à la sauce Troussenel. Dessert: Pommes et poires. Non sappiamo quale fosse dei due elefanti, Castore o Polluce, che abitavano al Jardin d’acclimatation, perché finirono entrambi in pentola!
In una casseruola fate appassire quattro scalogni e una piccola cipolla con ottanta grammi di burro, aggiungeteci uno spicchio d’aglio tritato fine e una tazza del liquido di bollitura delle aragoste che avrete preparato con acqua, aceto bianco, sale, pepe e un mazzetto di erbe aromatiche. Mescolate con cura. Versate a pioggia nel recipiente ottanta grammi di farina setacciata e componete un roux. Rimestando in continuazione aggiungeteci un cucchiaio di concentrato di pomodoro, tre pomodori maturi tagliati a dadini, spellati e privi di semi e di acqua di vegetazione, un cucchiaio di dragoncello e uno di timo freschi e tritati fini. Poi, aiutandovi con una frusta versate goccia a goccia nella salsa mezzo bicchiere di Cognac. Cuocete a fuoco dolce per venti minuti, regolate il sale e il pepe. Versate una parte della salsa sulle aragoste tenuta al caldo e la rimanente in una salsiera, servite con l’accompagnamento di riso pilaf.
(°) – Può essere considerata una variante della salsa per aragoste alla provenzale.
Sauce au fois gras di Cambacérès.
Dirà di lui Arrigo Cajumi, “ha galleggiato tra l’Ancien Regime e la restaurazione come il grasso sulle sue salse”, il commento è salace, ma anche ingiusto se teniamo conto del suo ruolo di legislatore. Jean-Jacques Régis de Cambacérès (1753-1824) è forse il rivale più agguerrito del principe di Benevento nel barcamenarsi con le casseruole tra i codici e la diplomazia. Omosessuale, collezionista di decorazioni e tabacchiere è ancora oggi un protagonista di molte culture. Più d’una delle sue elaborazioni cucinarie compaiono negli epulari diplomatici per i pranzi ufficiali e di gala. Amava il foie gras e i timballi, la carne di agnello e le “insalate” di frutta tropicale, soprattutto amava la besciamella che metteva dappertutto.
In una casseruola di rame stagnato versate due tazze di besciamella e una tazza di fondo bianco. Appena il tutto è riscaldato versateci 200 grammi di fegato grasso d’oca pulito e tagliato a pezzetti che avrete fatto macerare per almeno tre ore nel Cognac e poi avvolto in un pezzo di reticella di maiale e scottato in acqua bollente per due minuti. Cuocete a fuoco dolce per dieci minuti e fate raffreddare il fegato nel suo fondo. A questo punto passate il tutto al setaccio e rimettete la casseruola sul fuoco, aggiungete il sale e il pepe, macinato finissimo, e regolate la densità della salsa aggiungendovi mezzo foglio di colla di pesce ammorbidito in acqua fredda e sciolto in un po’ di vino di Porto scaldato.
Salsa Barbecue.
In una casseruola fate sciogliere tre noci di burro con tre cucchiai d’olio di girasole, aggiungeteci una cipolla bianca tritata fine, appena è appassita versate nel recipiente un bicchiere scarso di bourbon, un bicchiere di ketchup, una tazza di aceto di mele, un bicchiere di succo di arancia e uno di acero, due cucchiai di melassa e due di Worcestershire sauce, un cucchiaino di pepe e un pizzico di sale. A fuoco dolce fate cuocere il tutto, mescolando di continuo, fino a quando la salsa non comincia a tirare. Regolate il sale e usatela per le carni rosse alla griglia.
Salsa all’uvaspina per pesci grassi.
Scottate in acqua bollente per qualche minuto mezzo chilo di uvaspina ancora acerba. Mettetela in una casseruola con due noci di burro, mezzo bicchiere di vino bianco, un cucchiaino di semi di finocchio. Portate ad ebollizione. Poi, a fuoco dolcissimo, versateci un bicchiere di fumetto. Mescolando con una frusta integrateci un cucchiaio di fecola, regolate il sale e il pepe e servite.
Salsa Bongo Tchobi.
Questa salsa è specifica per la coda di coccodrillo, ma va bene anche per pesci come la spigola o le vecchie cernie. Fate soffriggere in un tegame due cipolle bianche a tocchetti e tre spicchi d’aglio tritati finemente con mezzo bicchiere d’olio di girasole, aggiungeteci due pomodori maturi spellati, privi di acqua di vegetazione, tagliati a pezzetti e un cucchiaio di bongo (°). Mescolate con un cucchiaio di legno e cuocete a fuoco dolce finché non otterrete un composto scuro, speziato e untuoso. Aggiungeteci mezzo peperone rosso senza semi tagliato alla julienne, un mezzo bicchiere di vino di palma o un cucchiaio di vino bianco dolce, regolate il sale e finite la cottura. A questo punto potete mettere nel tegame un chilo di coda di coccodrillo tagliata a tocchetti due bicchieri d’acqua e cuocere il tutto a fuoco dolce, con il recipiente coperto per tre quarti d’ora, oppure, se usate questa salsa per il pesce, brasatelo e versatecela sopra. Se avete cucinato la coda accompagnatela con del macabo o del taro(°°).
Tra i beduini la buona salsa è un’espressione della asabiyya ( a-sabīya) che si può tradurre con solidarietà, ma è riduttivo, perché come vincolo esprime la familiarità nomade e soprattutto una relazione giuridica ed economica tra coloro che siedono intorno allo stesso fuoco.
(°) – Il bongo è una spezia tipica del Camerun che assomiglia alla noce moscata per la forma.
(°°) – Sono due piante che crescono nelle zone tropicali umide, oggi sono coltivate per i loro tuberi simili alla patata che si consumano allo stesso modo o per ricavarne farina e amido.
Salsa alle mandorle di mango selvatico e fondo di sibissi.
Fate soffriggere con cura in olio di girasole un chilo abbondante di carne di sibissi(°) tagliata a tocchetti con aglio, sale e pepe quanto basta. Sfumatela con un bicchiere di vino bianco dolce, aggiungeteci due bicchieri d’acqua e terminate la cottura a recipiente scoperto. Recuperate la carne e riponetela al caldo. Deglassate il fondo del tegame con il succo di un limone filtrato. Aggiungeteci quattro pomodori maturi tagliati a dadini, spellati, privi di semi e di acqua di vegetazione, cuocete il tutto a fuoco dolce e a recipiente coperto. Nel frattempo sgusciate 250 grammi di mandorle di mango selvatico – questa pianta appartiene alla famiglia delle Irvingiaceae, le sue mandorle sono usate anche per preparare burri e pani – tostatele leggermente e in un mortaio battetele finché non saranno ridotte ad un impasto. Mettete questo impasto e un peperoncino piccante fresco tagliato a pezzettini nel sugo con i pomodori, con una frusta amalgamate bene il tutto e continuate la cottura per altri venti minuti, regolate il sale e il pepe. Versate la salsa sulla carne e servite subito accompagnando il sibissi con dell’igname tagliato a cubetti e allessato.
(°) – È un piccolo roditore molto diffuso soprattutto nel Camerun.
Chili sauce.
In un memorandum per il presidente Richard Nixon del 5 novembre 1970 – all’indomani dell’insediamento in Cile di Salvador Allende – Henry Kissinger raccomandava la neutralizzazione con ogni mezzo di questo leader socialista per evitare i rischi dell’impatto sull’opinione pubblica mondiale di un governo marxista regolarmente eletto. Il governo americano temeva soprattutto la reazione comunista in Italia, giudicata un anello debole dell’alleanza atlantica. Il 13 gennaio 1971 il New York Times pubblicò un articolo di Cyrus Sulzberger dal significativo titolo “Spagetti with Chili Sauce” in cui si ventilava come realistica la minaccia di una riedizione in Italia dell’esperienza cilena. Questo titolo, efficace quanto volgare, era stato coniato dallo stesso Kissinger in una riunione con la stampa. In breve, L’Italia politicamente malata doveva essere rinsavita facendo tintinnare le sciabole ed inaugurando una strategia della tensione di cui ancora si vedono le conseguenze.
Per questa salsa, ottima con gli spaghetti, occorrono due tipi di peperone che si trovano essiccati anche nei negozi europei, l’ancho – molto piccante con un gusto dolce, dall’aspetto grinzoso e scuro, lungo una decina di centimetri e il guajillo, il tipico peperoncino messicano che diventa scuro una volta essiccato. L’ancho per rendere la salsa più dolce si può sostituire o con la pasilla o con il cacho de cabra che deve il suo nome alla forma che assume quando è maturo. Occorrono tre peperoni per tipo, apriteli e rimuovete i gambi, i semi e le venature – i semi sono quelli che aumentano il piccante, potete lasciarne qualcuno. Un accorgimento, non toccatevi gl’occhi durante questa operazione e subito dopo lavatevi le mani con il sapone e l’acqua calda. Scottate i peperoni puliti in una padella con un po’ d’olio d’oliva extravergine e poi fateli bollire qualche minuto nell’acqua di un pentolino. A questo punto metteteli in un mortaio con due spicchi d’aglio, qualche grano di pepe, due chiodi di garofano, un pizzico di cumino e uno di sale grosso più dell’acqua quanto basta o del vino bianco secco. Riducete tutto ad una purea, passatela al setaccio e rovesciatela in una padella con due cucchiai d’olio d’oliva. Cuocete il tutto per almeno dieci minuti schiumando se è necessario e regolate il sale. Potete usare questa salsa subito per condire ogni tipo di pasta, in un vasetto di vetro si conserva bene in frigorifero.
Sriracha sauce.
È una salsa tailandese tipica della provincia di Chonburi. Il nome deriva da quello della città di Si Racha. Serve soprattutto a condire i frutti di mare. È molto popolare nella sua versione confezionata chiamata la “salsa del gallo” per via della sua etichetta. Questa è una ricetta standard. In una casseruola fate ritirare della metà due tazze di aceto rosso nel quale avrete messo tre cucchiai di zucchero, tre spicchi d’aglio schiacciati con una lama e sei peperoncini freschi tritati fini. Aggiungeteci un cucchiaio di soia, un cucchiaino di curcuma e uno di coriandolo, regolate il sale cuocete il tutto ancora per qualche minuto e filtrate. Si conserva in frigorifero. In genere viene usata per affogarci dei piccoli crostacei vivi, serviti con l’aperitivo. Potete sostituire lo zucchero con latte di soia o latte di cocco in scatola. La sriracha sauce è ottima anche per le ali di pollo fritte.
La rouille o il rouïo.
La rouille (rouïo, maionese provenzale) è una salsa speziata abitualmente servita con la zuppa di pesce o la bouillabaisse. In un tegamino scottate due fegati di rombo con qualche cucchiaio di fumetto di pesce. Metteteli in un mortaio con due patate lesse, due cucchiai di purea fresca di pomodoro, due spicchi d’aglio di Spagna, un pizzico di peperoncino, un sospetto di zucchero fino, un pizzico di pepe, un bicchiere d’olio d’oliva extravergine. Schiacciate il tutto e poi lavoratelo a pomata con una frusta aggiungendo del fumetto caldo a filo quanto basta per ottenere un composto liscio e morbido come una crema, regolate il sale. Questa salsa si serve a parte (°).
(°) – Nei ristoranti sul porto di Marsiglia ai turisti viene servito qualcosa che le assomiglia alla lontana, un impasto di maionese in barattolo con una punta di pseudo zafferano nordafricano, dell’harissa e un po’ d’aglio schiacciato.
Salsa al melograno e tamarindo.
In una casseruola appassite una cipolla tritata fine con un cucchiaio di farina di cocco, un cucchiaino di semi di cumino, altrettanto di semi di coriandolo e di peperoncino piccante fresco tritato. Aggiungeteci mezza mela pulita e senza buccia tagliata a dadini. Appena è cotta ritirate il tutto dal fuoco. In una ciotola mettete un bicchierino di estratto di tamarindo per bibite, il succo di due melograni di cui avrete strizzato i semi con un panno, un cucchiaio di succo di limone, mescolate con cura e versatelo nella casseruola. Riducete il tutto di un terzo e regolare il sale, la salsa è pronta per le carni bianche allessate. Una variante, aggiungeteci 100 grammi di tofu tagliato a dadini, riscaldate, fate addensare e regolate il sale. Usate questa versione della salsa per condire del riso basmati in bianco o delle patate lessate.
Salsapariglia in salsa.
La salsapariglia o erba stracciabraghe oggi gode di una discreta popolarità perché è il cibo preferito dei “Puffi” di Pierre Culliford, un’innocenza che stride con le virtù che gli spagnoli – l’avevano scoperta in Perù – le riconoscevano: di curare la sifilide. È chiamata Smilax aspera dai botanici e imbroglio dai contadini, perché il suo fusto è cosparso di spine molto acute. Si riconosce facilmente dalle foglie a forma di cuore e dai fiori piccoli, giallastri e profumati. Ha per frutti delle bacche rosse a grappoli, insipide. Costituiscono una fonte di nutrimento per gli uccelli. Cresce spontanea nei boschi e nelle macchie dell’area mediterranea.
In una casseruola scottate per qualche minuto duecento grammi di germogli di salsapariglia. Passateli al setaccio con un bicchiere di panna liquida fresca. In un altro recipiente versate la purea di salsapariglia con il tuorlo sodo schiacciato di due uova, un cucchiaino di aceto di vino bianco, una noce di burro, sale e pepe quanto basta. Riscaldate il tutto mescolando con cura con una frusta. Si usa per le carni bianche.
Salsa siamese per gamberetti bolliti o filetti di pesce gatto crudi.
In una ciotola con una frusta mescolate il succo filtrato di quattro limoni, un paio di cucchiai d’olio di girasole, due cucchiai di salsa di soia, la scorza grattugiata di un limone, tre cucchiai della parte verde di uno scalogno tritata finissima, un cucchiaino di zucchero, mezzo cucchiaino di coriandolo in polvere e mezzo di peperoncino. Se volete potete aggiungerci del sale. La pratica è crudele e ripugnante, ma solo per i vegetariani, visto il catalogo festivo di animali della dieta cristiana. Il pesce gatto va sfilettato velocemente cercando di farlo restare in vita ed immerso nella salsa per almeno un minuto prima di mangiarlo.
Salsa di tomatillo e jumiles.
In alcune provincie del Messico il “dia de jumil” conclude la settimana dedicata ai defunti. È il momento della raccolta delle cimici, grandi e piccole. Si piluccano sul posto, come noi facciamo con la frutta di bosco, o si raccolgono per essere pestate – dove averle tostate in forno – in un mortaio e trasformate in condimento. Di cosa sanno? Sostanzialmente di cannella con un retrogusto di canfora mentolata, a causa di quello di cui si nutrono nei boschi. Queste cimici, che gli entomologi chiamano Pentatomidi e ascrivono alla famiglia degli Eterotteri, da tempo sono riconosciute come un’importante risorsa alimentare in grado d’integrare il fabbisogno proteico dell’uomo. In Messico se ne consumano due varietà che si distinguono per la grandezza, chiamate jumiles e chumiles. Si dice che i gourmet sanno distinguerle per il sapore, entrambe comunque si vendono sulle bancarelle dei mercati.
Mettete in un mortaio quattro cucchiai di jumiles, uno spicchio d’aglio, una cipolla bianca tagliata a fette, otto tomatilli(°), un peperoncino (ideale sarebbe l’habanero oppure il chipotle), mezzo bicchiere di olio d’oliva. Battete il tutto fino ad ottenere un composto pastoso e omogeneo. Regolate il sale. La salsa è pronta per condire carni bianche allessate. Se si vuole si può mettere nella salsa anche mezzo spicchio d’aglio. Essenziale sarebbero un paio di pizzichi di epazote, un erba sudamericana che si vende essiccata sulle bancarelle dei mercatini messicani.
(°) – Tra le Solanacee si annoverano le Physalis, a cui appartengono un centinaio di specie che producono frutti contenuti in un calice di consistenza cartacea. Tra queste l’alchechengi, che da un punto di vista alimentare è simile al tomatillo (Physalis ixocarpa) noto anche come mexican groundcherry o tomate verde. Il tomatillo è una pianta annuale più o meno cespugliosa, alta circa un metro. Il frutto è una bacca di tre o quattro centimetri di diametro che a maturità acquista un colore verde più o meno intenso. I frutti del tomatillo si utilizzano crudi come contorno, allo stesso modo dei pomodori, o per preparare salse.
Due salse tibetane(°).
(°) – Queste due ricette del Reame delle Nevi sono approvate dall’Ufficio del Dalai Lama che considera la cucina tradizionale tibetana uno dei simboli della loro cultura materiale.
Pagma.
In una casseruola scaldate mezzo bicchiere d’olio d’oliva con un cucchiaino scarso di grani di fieno greco. Appena sono dorati aggiungete tre spicchi d’aglio schiacciati con una lama e una piccola cipolla tritata finemente. Appena la cipolla è appassita versateci tre pomodori a pezzetti senza semi e acqua di vegetazione, tre cucchiaini di paprica e due di salsa di soia. Aggiungeteci un bicchiere d’acqua e cuocete il tutto per almeno venti minuti. Regolate il sale e servite.
Questa salsa è l’accompagnamento classico per il riso, i tortini di miglio, tipici degli abitanti pedemontani dell’Himalaya, del pane e dei ravioli cotti al vapore (trimomo). Non è facile trovare i pomodori in Tibet, salvo nella parte meridionale, al loro posto si mette spesso una specie di formaggio chiamato shosha o churul, che ricorda molto alla lontana il Camembert maturo.
Sipen mardur.
Scottate per qualche minuto due pomodori maturi nell’acqua bollente, pelateli e liberateli dai semi e dell’acqua di vegetazione. Metteteli in una terrina con tre cucchiaini di paprica e una tazza di yogurt naturale. Mescolate ed amalgamate il tutto, aggiungeteci tre spicchi d’aglio tritati fini, un cucchiaino di zenzero, va bene anche quello essiccato. Mescolate e regolate il sale. Integrateci mezza tazza di foglie di coriandolo strappate con le mani e tenete la terrina al fresco a riposare per almeno un’ora.
Véhigadta lé-vinkha…
(E tu racconterai a tuo figlio… Esodo, XIII,8)
Salsa “agristada” per lo Shabbat.
È una salsa degli ebrei di Turchia. Fate bollire in una casseruola due bicchieri d’acqua con il succo di tre limoni e un pizzico di sale. In una terrina diluite tre tazze di farina setacciata con un po’ d’acqua tiepida. Aggiungeteci tre uova e mescolando con cura con una frusta versateci a filo per evitare i grumi il contenuto della casseruola. Rimettete il tutto sul fuoco dolce e sempre lavorando con la frusta fate ispessire la salsa, regolate il sale e fatela raffreddare prima di servirla. Potete, se volete, prima di mettere le uova nella farina, arricchire il sapore con uno spicchio di aglio tritato e un pizzico di zafferano. Questa salsa si usa soprattutto per le uova sode o per le verdure. In Marocco invece dell’aglio e dello zafferano si mettono delle foglioline di menta e della paprica.
Salsa alle foglie di patate dolci.
Delle patate dolci detta anche batate (Ipomoea batatas) si mangiano oltre ai rizotuberi anche i germogli e le foglie giovani. In un tegame con dell’olio di palma o di oliva stufate a fuoco dolcissimo per una quindicina di minuti un chilo di foglie di patate dolci lavate con cura ed asciugate. Intanto in una casseruola con dell’altro olio appassite due cipolle bianche e poi aggiungeteci tre pomodori maturi tagliati a pezzi privi di semi e acqua di vegetazione e successivamente due merluzzetti puliti e spinati. Salare e fate cuocere per una decina di minuti a fuoco basso. Versate nella casseruola le foglie di patata dolce, un bicchiere d’acqua, quattro frutti di gombo (la pianta è chiamata anche ocra o bāmiyā) tagliati alla julienne, quattro peperoncini freschi tritati e un cucchiaino di sumbala(°). Mescolate con cura e fate cuocere per circa venti minuti. Passate tutto al setaccio, regolate il sale e servite. La salsa deve apparire liscia e untuosa, serve per condire le patate dolci, il riso o i pesci bolliti.
(°) Il sumbala o sumbal si ricava dai baccelli di una pianta, la Néré, un tempo cresceva in abbondanza nella savana e è stata decimata per usarla come legna da ardere. Da qualche tempo molte organizzazioni umanitarie stanno tentando di rintrodurla in diversi paesi centro-africani perché i suoi frutti sono ricchi di proteine, ferro, vitamina C, aiuta a diminuire i rischi di scorbuto e è efficace nella lotta contro il gozzo.
H – Salse dolci, fredde e calde.
Salsa al cioccolato, uno.
In una casseruola lavorate con una frusta settantacinque grammi di cacao con 180 grammi di zucchero fine e mezzo bicchiere scarso d’acqua. Portate molto lentamente ad ebollizione e bollite – sempre lavorando il composto – per tre minuti. Aggiungeteci trenta grammi di burro rammollito e continuando ad aiutarvi con una frusta, fate cuocere per altri quattro minuti. Questa salsa serve a nappare i gelati, le pere sciroppate e i profiteroles. Potete sostituire l’acqua con un caffè leggero non zuccherato.
Salsa al cioccolato, due.
Sciogliete a calore dolce 200 grammi di cioccolato fondente con mezzo bicchiere scarso d’acqua, oppure uguale quantità di cacao e zucchero. Lavorate il tutto per dieci minuti, se volete potete profumare la salsa con un baccello di vaniglia che toglierete alla fine. Fuori dal fuoco incorporateci usando una frusta trenta grammi di burro e un bicchiere di panna liquida fresca leggermente addensata e servite. Se volete insieme alla panna potete aggiungere alla salsa una o due gocce di olio di menta piperita. Potete sostituire l’acqua con latte di mandorla.
Salsa di albicocche.
Passate al setaccio, dopo averle lavate ed asciugate, otto albicocche sane, mature e profumate. Sono sempre più rare, dovendo scegliere prendete quelle piccole che il sole ha arrossato su una guancia e rifiutate quelle grandi con un colorito uniforme di cui Michel Serres dice che hanno lo stesso gusto della parola che pronuncia il loro nome. Aggiungeteci una tazza di sciroppo di zucchero che avrete preparato con mezzo litro d’acqua e 250 grammi di zucchero. Versate il tutto in un pentolino di rame e cuocete, mescolando di continuo, fino a quando la salsa comincia a rapprendere. Fuori dal fuoco profumatela con un bicchierino di Kirsch e prima che raffreddi del tutto incorporateci una noce di burro freschissima e di qualità.
Salsa di ciliegie, uno.
Lavate con il loro picciolo 800 grammi di ciliegie nere mature, come sono le Ferrovia o le Vignola, snocciolatele e mettetele in una casseruola con 350 grammi di zucchero fine, mezzo tronchetto di cannella, la scorza di un limone non trattato, tre bicchieri di vino Malbec(°), cinque semi ricavati dal nocciolo rotto. Portate ad ebollizione e poi a fuoco dolce mescolando con cura con un cucchiaio di legno pulito cuocete per venti minuti circa. Passate tutto al setaccio, aggiungeteci un bicchierino di Kirsch e un cucchiaio di fecola di patate sciolta in un cucchiaio d’acqua se la salsa risulta troppo liquida. Riportatela a bollore e con una frusta lavoratela per un paio di minuti. Fate raffreddare e servite. È l’ideale per meringhe, gelati e panna cotta.
(°) – È uno dei vini fratelli del Bordeaux. Per questa salsa ci vorrebbe un Malbec di Cahor, del sud-ovest della Francia, che ha un aroma in cui è mercato il sentore del cassis e della menta.
Salsa di ciliegie, due.
Grigliate in un forno caldo per qualche minuto 150 grammi di nocciole tritate grossolanamente. In una casseruola sciogliete due noci burro a fuoco dolce, aggiungeteci 350 grammi di ciliegie nere denocciolate. Saltatele per un paio di minuti, aggiungeteci tre bicchieri di vino bianco secco, ideale è un Pigato d’Albenga o uno Chabils. Intanto che la casseruola va ad ebollizione riducete a farina le nocciole e aggiungetele alle ciliegie con un bicchierino di liquore alla vaniglia. Mescolate con cura e cuocete per qualche minuto. Tenete la salsa al caldo, è indicata oltre che per accompagnare le meringhe per le carni bianche arrosto e i pesci bolliti.
Salsa al caramello.
In un pentolino a fondo spesso cuocete fino a che non diventi di un colore marrone dorato due tazze di zucchero con un bicchiere scarso d’acqua. Aggiungeteci due tazze di panna liquida fresca addensata, un cucchiaio di latte condensato e un cucchiaino di vaniglia in polvere. Con un cucchiaio di legno mescolate il tutto fino a quando la salsa non sarà liscia e brillante. Potete conservare questa salsa in frigorifero ed usarla sia calda che fredda.
Salsa di cinorrodi.
Meglio di grattacu, come si dice in Piemonte e Lombardia. Il cinorrodo è il falso frutto dei rosai, in particolare della rosa canina. Il nome deriva da kynon cane e rodon rosa, perché si riteneva che guarisse dal morso dei cani affetti da rabbia. Si usano in genere per preparare marmellate e sciroppi, sono ricchi di vitamina “C”, per questo vengono usati anche per l’acqua di Melissa, un tempo specialità delle spezierie carmelitane.
Fate maturare per almeno cinque giorni mezzo chilo di cinorrodi in una terrina. Cuoceteli in una casseruola con del vino bianco secco a filo nel quale avrete messo la scorza grattugiata di mezzo limone. Quando si saranno sfatti passateli al setaccio e aggiungeteci qualche cucchiaio di zucchero fine, il succo di un limone, un sospetto di cannella in polvere. Lasciate il tutto cuocere a fuoco dolce per cinque minuti, poi passatelo alla stamigna. Raffreddate la salsa nel ghiaccio o in frigorifero e servitela per accompagnare frittelle, charlotte alle mele, blinis, frutta cotta.
FINE