FLUXTALES18
I chierici del buonsenso equiparano l’arte moderna alla vita per non doverla pensare come una oldredmole. In altri termini, lo dice Martin Heidegger, nell’arte moderna è l’atto che assicura la certezza del suo disporsi. Per esempio nulla è più simile a un orinatoio della vita di Ben Vautier.
Se non siamo in grado di separare il godimento dalla domanda del desiderio non vedremo mai l’oscuro che la congegna.
L’infantilizzazione formale dell’arte contemporanea deriva dal fatto che gli artisti hanno trovato conveniente evitare l’azzardo di una logica del significante. Soprattutto, poco economica dal punto di vista della doxa delle istituzioni.
Le istituzioni in arte sono mondi nella forma di mondo – è sottinteso l’essere nella forma di locus, per mettere in primo piano il mand, che scivola sul muzzan, “mund zan”, cioè sull’ornamento – su cui non piove mai l’interpretazione che le nuvole del senso gonfiano portandole “da un’altra scena”! Perché? Diciamo perché il sintomo deve istituire l’ordine. In altri termini, il sintomo che abita l’istituzione abita il linguaggio in cui lo spettatore si ritrova. Infatti l’opera come sintomo la si può dire in un altro modo, come “di-effetto” del linguaggio.
L’istituzione riduce l’opera-lettera al significante che essa stessa a pensato per se. In altri termini, come chiamare ciò se non una forma di castrazione di ciò che nell’epistola è ciò che si apostola? Ripetuto altrimenti. L’opera come sintomo ha un destino, ma non una destinazione. Per questo è condannata a giacere nella buca dell’interpretazione delle istituzioni.
In memoria della legge elettorale truffa in discussione in questo momento nel parlamento italiano tra accoliti vi proponiamo questo “scoff–law”. In un hightball glass mescolate con cura con uno spoon stirrer e del ghiaccio, un terzo di Rye Whiskey, un terzo di Dry Vermouth, un sesto di succo di limone filtrato, un sesto di Granatina, aggiungeteci qualche goccia di Orange Bitter e servite.
Questo cocktail fu inventato all’Harry’s Bar di Parigi nel 1924 per irridere il proibizionismo.
L’istituzione si arroga il diritto di destinare le opere d’arte per principio in modo che nessuno incautamente cade nel buco del non-sapere. Come dire? Mai sospingere qualcuno verso il godimento… se lo vuole!
Per le istituzioni le opere devono abbandonare ciò che in loro è significante per divenire figura o, più precisamente, per riprodurre i loro sintomi di figura ob–scena. Meglio un destino pop, tra pagliette sgrassatrici e falci e martello comprate – come insegna Warhol – dal hard–ware sotto casa.
Oggi i democratici-borghesi chiamano memoria politica il luogo dello charme désuet delle illusioni sociali.
Per il pensiero sociale francese del secolo scorso “politicare la politica” era l’arte di elaborare le prossimità ideologiche e le ricomposizioni sceniche con le necessarie abilità circensi. Non è dunque per caso che le parigine abbiano finito per desiderare i minatori delle Asturie.
Nelle nebbie della democrazia borghese svanisce il legame di necessità tra le strutture istituzionali e le funzioni sociali.
La forma di spettacolo non è solo l’artefatto che elabora l’effimero sociale è anche ciò che lo stabilizza al di fuori della fatticità della storia.
È inquietante non riuscire a scorgere delle differenze significative tra il mercato botanico delle specie vegetali e il mercato artistico delle opere d’arte d’avanguardia.
Deperimenti. Dall’arte di osservare dei filosofi-botanici – come J.-J. Rousseau – allo scrutare ossessivo degli schermi dei naviganti sul web.
Balbettii: sono, per esempio, quelli intorno allo statuto ontologico delle unita tassonomiche della rappresentazione. Ignorando il multiculturalismo l’arte moderna si rivela per ciò che è. L’ultimo subdolo inganno dell’imperialismo ai domesticati d’antan.
Il sapere fa della verità e dell’evidenza due soluzioni al singolare!
Ancora una definizione. Politica: la dottrina del regno animale evoluto. (Da almeno un paio di generazione i colori della politica borghese hanno bisogno del sole a mezzanotte per rivelarsi grigi come le vacche.)
Gli assoluti non hanno bordi, ma frontiere valicate dalla forza. Allora, la candela dell’essere su quale “bugia” è infilata?
Lo statuto dell’etica era filosofico, oggi è mondano, deprivato degli assoluti e relativizzati sulla trama della piccola storia.
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