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Un halwa dalla dolce e sabbiosa Qom – Esercitazione 12 – 2011-12

Politecnico di Milano, Anno Accademico 2011-2012.

Cattedra di FOOD-DESIGN.

Esercitazione numero dodici.

Mercoledì 13 giugno 2012.

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Un halwa dalla dolce e sabbiosa Qom.

Entre veille et sommeil, Rébecca entendit la voix mélodieuse de l’homme insister,

promettre poupées de porcelaine et jupes de dentelle, pétales de pois chiches et halva au safran.

Était-ce un rêve?

(Da, Harem di Dora Levy Mossanen.)

A Qom, l’antica e nobile Kum, sul viale dell’Imam c’è la pasticceria di Sohan Mohammad dove i pellegrini in visita a questa città santa – Shi’a Islam, santuario di Fatema Mae’sume, amata sorella dell’ Imam Ali ibn Musa‘Rida – acquistano di preferenza questo dolce che ricorda la sabbia e il profumo dell’aria che trascina da lontano la fragranza dei fiori di Crocus, di za’faran, splendidi come gli zaffiri.

Un dolce semplice, fatto di farina, zafferano, zucchero, pistacchi, burro, mandorle, cardamomo e acqua di rose, lavorato in modo che diventi come la terra riarsa che il Tamerlano attraversò per infliggerle l’ultima punizione, prima di essere innalzata alle virtù teologali della fede sciita.

Lo spirito di questo dolce è lo stesso dell’erranza e della rêverie.

Ricorda il gusto antico dei biscotti o l’odore fanée dei vecchi libri, ha un’anima aspra e materna e invita a sfidare l’ebbrezza dei venti. Come la sabbia e i libri non ha un tempo, ma ha il sapore dell’Oriente immobile nei suoi sogni e nella sua polvere. Va mangiato con la complicità della fame e del tè, perché, come scriveva Erodono, i persiani amano i dolci che solleticano la gola.

Ricetta.

Spargete sopra una placca da forno leggermente imburrata 300 grammi di semola fine, fatela tostare per qualche minuto a 180 gradi, deve leggermente dorare. In una casseruola versate la farina tostata, 150 grammi di zucchero fine, 100 grammi di miele non aromatico, un uovo intero e un tuorlo (nella ricetta classica non ci sono le uova, qui le usiamo per meglio compattare il composto, potete sostituirle con 75 grammi di burro di arachidi) e con una frusta amalgamate bene il tutto. Aggiungeteci mezzo bicchiere di olio d’oliva, un bicchiere di acqua di rose alimentare e 75 grammi di noce di cocco râpé, mescolate ancora. A questo punto incorporate all’impasto i semini di dieci capsule di cardamomo, quattro cucchiai di pistacchi puliti e tritati ed uno di mandorle affettate, infine, un pizzico di zafferano a filamenti. Cuocete a fuoco medio rimestando di continuo finché l’impasto non si è ispessito. Sistematelo su una placca da forno nella quale avrete sistemato della carta antiaderente. Spolveratelo di noce di cocco râpé e di altri pistacchi tritati, infornate – a forno già caldo – per circa sette, otto minuti. Quando è freddo tagliate l’halva a quadretti. Si conserva in una scatola di latta. Potete sostituire la semola fine con riso bollito e passato al setaccio.

(Halva o halwa, halvah, halava, halawa è la traslitterazione della parola dolce, in particolare si usa per i dolci a base di semola. Si prepara oltre che in Persia (Iran), anche in Grecia, Turchia, Pakistan, Grecia, Israele, Libano, Sri Lanka e in molti paesi dell’Est Europeo dove è confezionato con la pasta di tahina, semi di sesamo tostati e tritati.

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Alle prime tre halva vincitrici saranno assegnati due punti che si sommeranno al voto finale conseguito.

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Una torta di mele sulla sessantasei (An apple pie on the Route Sixtisix) – Esercitazione 11 – 2011-12

Politecnico di Milano, Anno Accademico 2011-2012.

Cattedra di FOOD-DESIGN.

Esercitazione numero undici.

Mercoledì 6 giugno 2012.

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Una torta di mele sulla sessantasei.

(An apple pie on the Route Sixtisix)

 

 “Presi torta di mele e gelato: diventavano sempre meglio man mano che m’inoltravo nello Iowa, la torta più grossa, il gelato più sostanzioso”. Lo scrive Sal ( Salvatore Paradise, l’io narrante di Sulla strada di Jack Kerouac). Camion, autobus, chioschi, distributori di benzina, vecchi alberghi, c’è di tutto sul lungo “fiume” della Route 66 che attraversa l’America, questo grande paese che si specchia nelle torte di mele come gli abitanti di Combray nella madeleine di Marcel Proust.

Torte di mele che riflettono la sua identità segreta, as american as apple pie, dice il detto.

È l’unica cosa che Sal mangia per tutta la strada che lo porta verso Ovest. Una torta “nutriente e naturalmente squisita”. Una torta à la mode, come recitano i menu dei ristorantini francesi della provincia americana che reputano assoluta la combinazione tra l’asprigno della mele e il dolce del gelato. Un mito questo dei pomi che viene da lontano e che nasce nel Massachusetts, con Giovannino Semedimela (Johnny Appleseed). Di costui si racconta che girasse con le tasche piene di semi di questo frutto e li piantasse ovunque.

 

  Una fetta di torta, dunque, e la vita che scorre on the road, tra malessere, rivolta, alcol e sogni. Sulla vita nel frattempo “la pioggia cadeva sferzante… la strada principale piena di fango…”, intanto, “le grandi pianure di artemisia scorrevano via veloci… orizzonti azzurri si aprivano nel cielo” gli occhi attratti da una “grande insegna al neon che mandava bagliori rossi”, oltre “il muro di nebbia”… “immersi in un sogno a fare i conti nel cuore della notte, a bordo di un’auto” mentre “una bellezza bionda seduta tra due uomini senza uno straccio addosso” faceva sbandare i camionisti.

 

 Una vita vissuta tra bar, bordelli e locali jazz, ascoltando Benny Goodman e il grande Charlie Parker. È Kerouac, è il ritratto di un poeta che ha inventato la poesia americana moderna, di un uomo che ha raccontato solo cose vere, sul fondale il fragore dell’oceano, l’ultimo maledetto hotel, l’ennesima avventura raccontata di un angelo desolato, da un vagabondo di una stagione culturale che ancora porta le tracce del suo passaggio e di ciò che non sarà più la gioventù americana. Una gioventù che era nata sulle pagine del figlio illegittimo di un astrologo ambulante, Jack London, amico di ladri e contrabbandieri, pescatore di ostriche, cacciatore di foche, corrispondente di guerra, cercatore d’oro, scrittore di successo, socialista e cronista della rivoluzione messicana, ambientalista, puttaniere e padre della beat generation.

 

 Nella cucina di lingua inglese le prime Tartys in Applis risalgono al tempo di Geoffrey Chancer (1343-1400), erano confezionate con mele, fichi, uva passa, un involucro di pasta frolla allo zafferano, niente zucchero e miele. Con la rivoluzione contro la corona inglese queste Tartys diventano americane e riflettono il melting pot di cui sono un’espressione. Ci sono le apple pie con la ricetta olandese che si mangiano con la panna montata, quelle svedesi che sono una variante antica della francese Tatin, la versione degli Amish, con cannella, burro, crema di latte. C’è la apple pie a doppio fodero, quella con la parte superiore a gratella, in pasta brisée, con la frolla alla margarina, con farine prive di glutine, quella con il liquore, le varianti con i diversi tipi di mela, dalla renetta alla Elstar, alle mele secche o sciroppate, con o senza le uova, con l’aggiunta di succo di limone o di anice, di pinoli o di mandorle. Come dice la tradizione ogni famiglia della provincia americana ha la sua ricetta segreta per questa torta da credenza nonostante gli ingredienti siano sempre pressappoco gli stessi, cambiano l’amore con il quale s’impasta la farina con il burro, i ricordi, i segreti, i sogni, la qualità delle lacrime che la bagnano, di gioia o di nostalgia.

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 Scopo dell’esercitazione è di realizzare una delle tante “apple pie” mangiate da Sal nel suo viaggio attraverso gli States tenendo conto dell’affermazione di Claude Lévi-Strauss che il buono da mangiare, deve essere anche buono da pensare e buono da immaginare.

 

 Non diamo una ricetta base perché ci sono molti siti americani dedicati a questo dolce e alle annuali gare per stabilire il migliore tra di essi.

 

(Per meglio giudicare la ricetta non occorre completare la pie con gelato, panna o altro.)

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