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FLUXTALES 3

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Quand on fait une ruine, il faut la bien faire!

 (Victor Hugo)

 

Come non ammettere che a volte il fuoco della guerra ha cotto le tavolette d’argilla preservandone il testo per i nostri appetiti culturali?

Il destino della scultura antica, o gli zoccoli o i tumulti.

 

Ridurre la storia dell’arte a una tracceologia è un modo debole per affrontare l’esserci dell’opera già indebolito dall’arte classificatoria dei mercanti.

 

La funzione del vedere per la critica d’arte è una sopravvivenza, esattamente come gl’occhi delle talpe.

 

La visibilità delle tracce materiali di un event (accadimento) non lo spiegano, esse possiedono una natura tautologica, esattamente come l’oggetto nel ready-made.

 

Il carattere dell’autoreferenzialità dell’opera rivela l’ignoranza primitiva dell’agente.

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L’eccesso di poetica – reale o immaginata – facilità la comprensione dell’opera più di quanto questa possa per se stessa.

 

Il limite poetico del ready-made è contenuto nel fatto che esso esige di essere guardato “artisticamente”, poco importa di chi sia questo sguardo e se abbia fatto suo il codice dell’istituzione.  In ogni caso l’istituzione genera sempre un evoluzionismo immaginario dell’opera adottata.  Le istituzioni sono laiche, ma esse possiedono il potere di elaborare credenze magiche che spesso le mettono in conflitto con quelle specificatamente religiose.  Questo conflitto nasce da un non-detto il potere animistico – o, totemico, poco cambia – che le istituzioni sono in grado di opporre ai monoteismi.

 

Lo scambio simbolico rende le istituzioni similari nonostante i modi diversi che hanno le opere di “rivelarsi”.

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La storia dell’arte non è ricostruibile senza precipitare in un evoluzionismo immaginario, vale a dire senza far ricorso a un ordine estetico evolutivo.

 

Le istituzioni oggi esercitano sull’arte lo stesso controllo esercitato nel Quattrocento dal potere ecclesiastico sulla pittura paretiale, vale a dire un potere economico, politico, culturale e etico risolto in un potere iconografico.

 

È l’illusione dei valori assoluti, di cui l’opera dovrebbe essere portatrice, a giustificare il colonialismo culturale.

 

Il fine delle istituzioni è la produzione di un’estetica che acceleri ogni forma d’integrazione culturale favorendo la circolazione delle merci.

 

La “complessicazione” decrescente è il carattere che favorisce l’infantilizzazione crescente delle arti nella contemporaneità.

 

Primitivo significa aver conservato qualcosa delle origini, non essere semplici o inadeguati.  Per esempio, essere senza scrittura o senza la forma di Stato significa essere diversamente complessi.

 

Nella storia dell’arte moderna le istituzioni sono divenute un fenomeno cumulativo senza progresso e esse dipendono dalla complessità crescente delle infrastrutture che le modellano.

Il fenomeno della cumulazione è importante perché regola il conflitto tra le poetiche, qui cumulazione non significa, anche se lo si assimila, classificazione che è un’operazione scientifica.

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Nella storia dell’arte moderna come in archeologia i caratteri che forgiano le opere non lasciano tracce materiali, essi appartengono alla diplomazia delle istituzioni che sono capaci – per esempio – di gestire l’abbondanza sovrastrutturale dei documenti di descrizione.

 

Nell’arte contemporanea la celebrazione del brand rivela la manifattura dell’istituzione.  Il brand infatti celebra la sensibilità estetica che da tempo è interpretata dalla forma di merce a livello planetario.  In questo contesto l’opera deve essere l’espressione consapevole di una forma visibile e non di una poetica.

 

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L’oggetto che l’arte contemporanea pretende di aver riscoperto è la più riuscita beffa del simbolico.

 

Nelle Brillo Box il gusto celebra la grafica espressionista di James Harvey e l’arguzia mercantile della ripetizione, un tempo interpretata dalle apple pie sulla route 66.

 

Le poetiche in arte non hanno in sé criteri e finalità sufficienti a definire un progresso, ma tutt’al più uno stile. Se si scolora l’époché spariscono molte opere d’arte, quelle che si sono affidate a delle sensazioni esteriori all’arte del loro tempo.

 

Davanti alla cueva di Altamira l’idea di progresso nelle arti si rivela come la più terribile delle illusioni, quella che ha spalancato le porte alla religione estetica consentendo al sapere assoluto di nidificare (Hegel). Così, se crescere significa “condurre a”, l’arte allora non cresce. Ma dopo Altamira c’è forse qualcuno che avverte sente il bisogno?

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Ogni volta che il “mondo” è messo in relazione con il concetto d’infinito si riapre la ferita della metafisica. Ridurre il possesso della verità a fede è l’inganno su cui prosperano gli spiritualismi.

 

Non è dimostrato che per il materialismo la scienza debba possedere il carattere dell’esattezza, per esempio il “rigore” della scienza economica applicato come se fosse una configurazione interpretativa della vita corrente non sarà mai esatto, ma solo un calcolo computistico.

I pericoli dell’esattezza si nascondono nel mito dell’oggettività.

 

La sperimentazione richiede l’impostazione, questa guida alla rappresentazione in cui è contenuta la condizione ipotetica dell’opera. In questo senso la rappresentazione si invera nella chiarificazione. Per questo la rappresentazione non può confidare nel non-conosciuto.

 

La natura dell’arte sperimentale non può assolutamente essere interpretativa, ma osservativa. Persefone che scende agli inferi rinvia alle messi di primavera.

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Sperimentazione – reperimento – vaglio – accertamento della coerenza – valutazione della rappresentazione – interpretazione.

 

Il localismo estetico è per le arti una forma di vernacolare. Non importa se nevica o fuori dalla finestra c’è il deserto, l’opera è sempre nella notte che non vede la notte (Anders). Il fallimento della storia sociale è nella natura estetica delle sue forme. I luoghi hanno luci diverse, ma l’arte moderna si acceca con la storicizzazione, con l’orrore di essere il paesaggio naturale della cultura che i luoghi esprimono. A partire dagli impressionisti la luce è il bandolo della matassa, da atmosfera diventa dimensione.

 

Se intendiamo l’opera d’arte come un’espressione secretiva la questione del femminile nelle arti diventa sintomatica.

 

A cosa è valso affrancare l’arte dagli dei se il suo destino era di servire la forma di capitale?

 

La novità si presenta sempre come una gelata maniacale del nuovo.

 

È l’idea feticista di progresso che porta le arti a soccombere davanti ai miti mercantili delle avanguardie.

L’eccessiva storicità della rappresentazione fa si che essa tutte le volte che si risveglia nell’opera finisce per apparire un avvento destinato al tramonto.

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L’arte come techné ha in sé il principio del compimento senza crescita. In ogni modo, non ci sono “rinascenze” nelle arti, la rinascenza appartiene alla natura e è un inganno dell’ideologia.

 

Nel fine può essere installata l’idea di perfezione, mai nel finito o nel compiuto, semmai nell’inachevé. È per questo che lo si teme?

Il ready-made ha introdotto nell’arte il prodotto confezionato che ha la caratteristica di poter essere “smontato” perché compiuto. Ciò che è problematico fare con l’incompiuto che caratterizza le opere della modernità.

 

Guai a coloro che chiamano il fondo oscuro dell’arte suolo o anima!

 

Ancora non si apprezza come si deve il sarcasmo di Baudelaire. Per definire una poetica a un’avanguardia occorrerebbe prima sapere da che parte va l’umanità.

 

L’unica possibile e legittima profezia di un’avanguardia è quella sul proprio destino, ma è anche l’unica che non sa formulare.

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Joseph Beyus: altro che sentimenti verdi o ecologisti, puro “völkisch”!

 

Sempre più spesso è il lessico che “fa” l’arte, ma chi lo possiede? Le istituzioni. Esse hanno parecchi vantaggi, uno è quello economico, l’altro è quello morale perché appaiono pragmatiche, utilitariste e innocenti.

 

L’importanza dell’opera d’arte nell’ambito delle istituzioni si misura dal posto che essa occupa tra le altre e non dalla cosità di cui è l’espressione. Il posto che occupa è funzionale alla politica mercantile che l’istituzione esprime.

 

Nella contemporaneità il successo di un’opera dipende da quanto essa appare tautologica agl’occhi di un pubblico a cui la modernità ha imposto di non dubitare di nulla.

 

La funzione delle istituzioni è la stessa che avevano i mercati. Un tempo conoscere una città significava sapere dov’erano collocati.

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La pittura di carni di Courbet non ha nulla a che fare con gli abitini di fettine di manzo di Lady Gaga. Nel primo è chair nella seconda è viande, alla lettera!

 

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