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Settima esercitazione

Politecnico di Milano, Anno Accademico 2012-2013. 

Cattedra di FOOD-DESIGN.

Esercitazione numero sette.       

Mercoledì 8 maggio 2013.

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Il mole poblano.

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Il famoso romanziere e saggista messicano Fernando del Paso, nel 1991, durante un soggiorno a Parigi, scrisse, insieme alla moglie Socorro, un libro che ha avuto un grande successo, La cocina mexicana (1991).

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In questo libro i due autori affermano che el mole poblano non è solo un capolavoro gastronomico in assoluto, ma rappresenta anche il più riuscito e più autentico meltingpot della storia moderna.

Alfonso Reyes (1889-1959), un altro grande scrittore, diplomatico e gourmet messicano – Jorge Luis Borges lo definì il miglior prosatore di lingua spagnola di tutti i tempi – nelle sue Memorias de cocina y bodega afferma che la cucina, insieme all’architettura coloniale, sono due delle cose più caratteristiche del Messico e che il mole alla maniera di Puebla è “un lussuoso piatto bizantino degno di una tela del Veronese”.

Salvador Dalì (1904-1989), pensando a La Sagrada Familia di Barcellona, definì l’opera di Antoni Gaudì (1852-1926) un’architettura commestibile.

Se ciò è vero, commenta Fernando del Paso il convento di San Francesco Saverio (XVII secolo, circa) a Tepotzotlan (a una trentina di chilometri da Città del Messico) non è altro che un gigantesco omaggio al mole poblano.

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La ricetta che segue è un aggiustamento di quella che compare nel libro, Recetas pràcticas para la señora de la casa, sobre cocina, reposteria,…, etcétera, recopiladas por algunas socias de la Conferencia de la Santisima Trinidad para sostenimento de su Hospital pubblicato a Guadalajara de México.

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Il mole come il manchamanteles (macchia tovaglie, uno spezzatino di pollo e frutta) sono specialità di Puebla.  (La parola mole è spagnola, deriva dall’idioma náhuatl, dove mulli vuol dire salsa.)

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Richiedono entrambi molti ingredienti, la leggenda racconta che il mole originario, quello inventato da una suora chiamata Andrea del convento domenicano di Santa Rosa (fondato nel 1590 e ricostruito nel XVIII secolo) a Morelia, ne richiedeva addirittura cento.

La leggenda in realtà ci dice che l’alto numero d’ingredienti comporta necessariamente che ogni mole poblano è diverso da tutti gli altri e che, in termini di economia di scala, è sempre preparato per un grande numero di commensali.

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In una padella scottate tre mezzi peperoni leggermente oliati (uno giallo, uno verde e uno rosso) dopo aver tolto loro i semi e le venature bianche.

Appena sono pronti immergeteli per cinque minuti in una casseruola con dell’acqua bollente.

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Nel frattempo in un’altra padella tostate due grosse fetta di pane di granoturco oppure una di granoturco e una di pane senza sale.

Nella prima padella versate mezzo bicchiere d’olio e tostateci cento grammi di mandorle spellate, cinquanta grammi di noccioline americane pulite, cinquanta grammi di sesamo, cinquanta grammi di uva passa.

Appena sono dorati aggiungeteci cento grammi di cipolle tritate e due spicchi d’aglio puliti schiacciati con una lama, poi, un cucchiaino di semi di cumino, tre chiodi di garofano, un cucchiaino di anice stellata in polvere, le due fette di pane, mezzo tronchetto di cannella sbriciolato finemente, cinque grani di pepe nero schiacciati al momento.

Fate andare il tutto per cinque minuti.

In un mixer mettete duecento grammi di pomodori maturi, senza semi, pelle ed acqua di vegetazione, i peperoni scottati nell’acqua bollente, una banana media, matura, tagliata a rondelle, il contenuto della prima padella, cento grammi di cioccolato amaro grattugiato e un cucchiaio di cacao amaro.

Triturate con cura il tutto (eventualmente in due tempi).

Poi, passatelo al setaccio e quindi in una casseruola di coccio con mezzo bicchiere d’olio.

Fate cuocere a fuoco dolce per almeno dieci minuti, regolate il sale.

Adesso

aggiungeteci trecento grammi di carne di coscia di tacchino tagliata a pezzetti e duecento grammi di petto, sempre di tacchino, lessati con i loro aromi ed una tazza del fondo di cottura.

Continuate, sempre a fuoco dolce, la cottura per altri venti minuti.

Regolate il sale, il piccante e il dolce, aiutandovi con dello zucchero di canna.

Servite il mole in un piatto di portata dopo averlo spolverato con un po’ di sesamo grigliato.

(Il melting pot – crogiuolo – è un’espressione sociologica che sta ad indicare un’amalgama funzionale, all’interno di una società o di una comunità, di molti elementi diversi, di natura etnica, culturale, religiosa, politica.

L’importanza di questo fenomeno sociale è cresciuto in modo esponenziale nel corso di questi ultimo anni per via dell’aumento dei flussi migranti e per il formarsi, sempre più numeroso nella fascia temperata del pianeta, di sub-culture nell’ambito delle culture dominanti. 

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Il mole poblano da presentare come esercitazione dovrà essere conservato in una vaschetta di alluminio da mezzo litro o di ceramica dello stessa grandezza.  Poi, durante il trasporto, dovrà essere mantenuto al caldo in una “gabbietta” di polistirolo pesante. 

In alternativa dovrà essere scaldato con un fornellino elettrico. 

 

Suggeriamo di usare la parte eccedente come cena tra amici e di approfittare dei giudizi per le eventuali correzioni. 

Se il mole poblano è preparato con molto anticipo suggeriamo di congelarlo.

Per ragioni igieniche questa preparazione alimentare non può stare più di sei ore a temperatura ambiente.

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N.B.

La giuria per l’assaggio è costituita dagli studenti Erasmus provenienti dal Messico che in questa occasione non potranno partecipare alla gara.

 

Quattro punti al primo classificato.

Due punti al secondo classificato.

Un punto al terzo classificato.

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Sesta Esercitazione

Politecnico di Milano, Anno Accademico 2012-2013. 

Cattedra di FOOD-DESIGN.

Esercitazione numero sei.      

Mercoledì 24 aprile 2013.

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An apple pie on the Route Sixtisix.   

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 “Presi torta di mele e gelato: diventavano sempre meglio man mano che m’inoltravo nello Iowa, la torta più grossa, il gelato più sostanzioso”.  Lo scrive Sal ( Salvatore Paradise, l’io narrante di Sulla strada di Jack Kerouac).

Camion, autobus, chioschi, distributori di benzina, vecchi alberghi, c’è di tutto sul lungo “fiume” della Route 66 che attraversa l’America, questo grande paese che si specchia nelle torte di mele come gli abitanti di Combray nella madeleine di Marcel Proust.

Torte di mele che riflettono la sua identità segreta, as american as apple pie, dice un detto popolare.

È l’unica cosa che Sal divora per tutta la strada che lo porta verso Ovest.  Una torta “nutriente e naturalmente squisita”.

Una torta à la mode, come recitano i menu dei ristorantini francesi della provincia americana che reputano assoluta la combinazione tra l’asprigno della mele e il dolce del gelato.

Un mito questo dei pomi che viene da lontano e che nasce nel Massachusetts, con Giovannino Semedimela (Johnny Appleseed).  Di costui si racconta che girasse con le tasche piene di semi di questo frutto e li piantasse ovunque.

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Una fetta di torta, dunque, e la vita che scorre on the road, tra malessere, rivolta, alcol e sogni.  Sulla vita nel frattempo “la pioggia cadeva sferzante… la strada principale piena di fango…”, intanto, “le grandi pianure di artemisia scorrevano via veloci… orizzonti azzurri si aprivano nel cielo” gli occhi attratti da una “grande insegna al neon che mandava bagliori rossi”, oltre “il muro di nebbia”… “immersi in un sogno a fare i conti nel cuore della notte, a bordo di un’auto” mentre “una bellezza bionda seduta tra due uomini senza uno straccio addosso” faceva sbandare i camionisti.

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Una vita vissuta tra bar, bordelli e locali jazz, ascoltando Benny Goodman e il grande Charlie Parker.  È Kerouac, è il ritratto di un poeta che ha inventato la poesia americana moderna, di un uomo che ha raccontato solo cose vere, sul fondale il fragore dell’oceano, l’ultimo maledetto hotel, l’ennesima avventura raccontata di un angelo desolato, da un vagabondo di una stagione culturale che ancora porta le tracce del suo passaggio e di ciò che non sarà più la gioventù americana.  Una gioventù che era nata sulle pagine del figlio illegittimo di un astrologo ambulante, Jack London, amico di ladri e contrabbandieri, pescatore di ostriche, cacciatore di foche, corrispondente di guerra, cercatore d’oro, scrittore di successo, socialista e cronista della rivoluzione messicana, ambientalista, puttaniere e padre della beat generation.

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Nella cucina di lingua inglese le prime Tartys in Applis risalgono al tempo di Geoffrey Chancer (1343-1400), erano confezionate con mele, fichi, uva passa, un involucro di pasta frolla allo zafferano, niente zucchero e miele.  Con la rivoluzione contro la corona inglese queste Tartys diventano americane e riflettono il melting pot di cui sono un’espressione.  Ci sono le apple pie con la ricetta olandese che si mangiano con la panna montata, quelle svedesi che sono una variante antica della francese Tatin, la versione degli Amish, con cannella, burro, crema di latte.  C’è la apple pie a doppio fodero, quella con la parte superiore a gratella, in pasta brisée, con la frolla alla margarina, con farine prive di glutine, quella con il liquore, le varianti con i diversi tipi di mela, dalla renetta alla Elstar, alle mele secche o sciroppate, con o senza le uova, con l’aggiunta di succo di limone o di anice, di pinoli o di mandorle.

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Come dice la tradizione ogni famiglia della provincia americana ha la sua ricetta segreta per questa torta da credenza nonostante gli ingredienti siano sempre pressappoco gli stessi, cambiano l’amore con il quale s’impasta la farina con il burro, i ricordi, i segreti, i sogni, la qualità delle lacrime che la bagnano, di gioia o di nostalgia.

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Scopo dell’esercitazione è di realizzare una delle tante “apple pie” mangiate da Sal nel suo viaggio attraverso gli States tenendo conto dell’affermazione di Claude Lévi-Strauss che il buono da mangiare, deve essere anche buono da pensare e buono da immaginare. 

 

Non diamo una ricetta base perché ci sono molti siti americani dedicati a questo dolce e alle annuali gare per stabilire il migliore tra di essi. 

 

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Per meglio giudicare la ricetta non occorre completare la pie con gelato, panna o altro. 

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Tre punti al primo classificato.  Un punto al secondo e al terzo. 

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