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FLUXTALES – ADDENDA

FLUXTALES ADDENDA

Alle istituzioni basta la funzione antologica per fare tendenza, anche a dispetto delle opere. Del resto l’analfabetismo visuale favorisce lo scomporre per meglio architettare, consente la confusione genealogica per affermare ogni prospettiva storica.

 

L’arte “al passato” è di regola mistificata per creare genealogie convenienti alla funzione sociale del simbolico.

 

L’istituzione è come un bosco incantato. Ogni indugio è possibile tra le sue verzure nell’incanto dei truismi. Qui i miraggi sono opere d’arte.

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In arte il giudizio nella forma di catalogo di poetiche ha sempre un forte effetto sedativo, aiuta a fidarsi delle apparenze.

 

I percorsi della sublimazione in arte sono come i vialetti negl’orti. Consentono alla critica d’arte di raccogliere un bouillon d’ingredienti in ogni stagione.

 

Un accadimento in Fluxus è uno svaporare dell’intenso, vale a dire, di un tendere verso.

 

Nei readymade si compie una strana piroletta. L’oggetto esorcizza ciò che lo distingue: il suo destino!

 

Interpretare è spesso un compromettersi con l’immaginazione che trasfigura. Per il resto, meglio l’implicazione che l’esplicazione.

 

Diceva Faustino Bocchi: I dipinti abitano i luoghi. Ne sono certo, è un idea che condivideva con i suoi gatti!

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Lo “spirito santo” subentra al tiglio come la filosofia (libro illustrato) subentra all’arte (libro senza figure).

 

La forma di capitale nella teleologia dell’arte è ciò che concorre a istallare l’ordine. In questa prospettiva il critico d’arte è un beduino nel deserto. Un pover’uomo a cui hanno sottratto il paesaggio.

 

Solo le istituzioni nella modernità sono nella condizione di assicurare alle opera una discendenza astrologica …in attesa che cada Bisanzio.

 

Per le istituzioni l’ottimismo della ripetizione conta di più della singolarità espressiva. Da qui la loro passione nel promuovere le promiscuità.

Meglio. Solo nella reiterazione si può amministrare il caos e gestire quella liturgia mercantile che fa delle illusioni visuali ciò che non cambia mai nell’arte.

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Davanti al divenire mondo della tecnica in forma di merce Duchamp scoprì l’oscurantismo “pressorio” delle ideologie che definì con il termine di ritardo.

 

Il feticismo della forma di merce è il non-detto dell’arte moderna. Denunciarlo vuol dire portare alla luce il suo carattere religioso e l’alienazione che la lacera.

 

L’essenza divina della merce è ciò che meglio s’invera nell’essenza ideologica della produzione artistica.

 

Il colore ideale delle istituzioni è hegeliano. È il grigio di Payne, lo si trova all’ingrosso come grigio hospital style.

 

La volgarità nell’arte moderna (per esempio, Cattelan) è il contrario della laicità epistemica della cultura materiale. Essa appare religiosa (o, metafisica, fa lo stesso) perché aspira a essere vissuta come una trascendenza. Ma perché le istituzioni la tollerano nonostante appaia miserabile? Perché è un arcaismo metafisico necessario alla forma di spettacolo.

 

Il pauperismo delle idee e la globalizzazione feticistica del visuale sono quel necessario oscurantismo che fa lievitare l’arte moderna come crescono gli champignon nelle cantine. Eppure un tempo essa sembrò una conquista sulle apparenze (Vasari).

 

L’happening di Vincenzo Peruggia soffre degli stessi sintomi di quello di Marcel Duchamp. Con una sostanziale differenza, Duchamp non fece uno sberleffo alla Gioconda, ma solo a una sua cartolina!

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La Body-Art come godimento dell’orrore rimuove il sintomo precipitando nella psicosi così com’è. Un tale godimento è ciò che precipita di fronte a Thanatos elevando il corpo a significante, cioè a veicolo di una jouissance impossibile.

 

Ciò che è mancato a Fluxus dal punto di vista del politico è stata la ricchezza sediziosa delle avanguardie storiche.

 

Il fallimento delle istanze concettuali nell’arte è contenuto nella pretesa di queste di realizzarne la teoria. Un po’ di feltro inchiodato a una parete è come la rosa di Gertrude Stein, un’alterità che fa buco. Su cosa?

 

Le cattive avanguardie soffrono di una rêverie anacronistica. Non sanno rassegnarsi al fatto che ciò che è stato è stato.

 

Il sogno che ha perduto Maciunas, far convergere in Fluxus le rivolte senza causa degli anni ’60 del Novecento.

 

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Prolegomeni a una definizione di Arte – 3

PROLEGOMENI A UNA DEFINIZIONE DI ARTE 3

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I fattori economici determinano direttamente le forme artistiche, ma possono anche avere degli effetti indiretti e imprevisti.

Facciamo un esempio recente. Quando negli anni intorno al 1970 la pellicola in bianco e nero cominciò a essere più costosa, a causa dei nitrati di argento con cui era fabbricata, di quella a colori, il cinema cambiò strategia e sposò il colore. Con il colore l’arte del cinema mutò in un’industria di massa.

Questa determinazione dell’arte da parte della tecnica, va da sé, è relativa, e comporta una distinzione capitale, quella tra il progresso nelle arti, dal progresso delle arti.

Il principio di causalità e quello di singolarità se male applicati rischiano infatti di costruire delle illusorie necessità retrospettive.

In altri termini, la storia dell’arte ha sempre dovuto fare i conti con una fatale contingenza che a sua volta è prodotta da una lunga serie di contingenze che si lega alla preservazione materiale delle opere.

Un esempio da manuale scolastico. Se oltre alla scultura, la pittura greca fosse arrivata fino a noi, certamente la nostra idea di pittura e la sua storia, oggi, sarebbero diverse.

C’è un altro punto importante. Riguarda il problema della rappresentazione che deve essere intesa nella sua dimensione storico-dialettica.

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La peste, che a metà del ‘300 ha annientato le città di Firenze e di Siena, è ignorata dalla pittura, che finge il contrario e continua a produrre Vergini opulente e placide contro fondi di “ciel-d’oro” che esprimono la gioia di vivere. Da qui una considerazione con molte conseguenze.

Per il fatto che l’arte non imita la natura, ma ne crea un’altra, essa esprime meno la sua epoca di quanto non la esalti in ciò che essa non è stata.

Anche se si è indotti a credere il contrario, da quando l’arte ha un valore mercantile non ci sono opere d’arte anonime, così come non ci sono opere d’arte veramente collettive.

Il popolo artista è solo un mito affascinante.

Nella realtà, tutte le opere sono il prodotto di un “Io” creatore, sia che si tratti della pittura italiana del Rinascimento come della maschera africana per le cerimonie.

La creatività, in una prospettiva artistica e liberata dai suoi doveri verso l’istituzione, è un mistero che la ragione estetica, non sapendola spiegare, trasforma in un enigma.

A questo proposito nell’antichità si supponeva che l’artista avesse un rapporto privilegiato con il divino. Da qui l’espressione di inspirazione (in-spirare) che rimanda al soffiare dentro, nell’anima.

Edmund Husserl parla di épochè – recuperando l’espressione della filosofia scettica greca sulla sospensione del giudizio – come dell’operazione che mette fuori campo tutte le finalità esteriori all’epoca o, se volete, alla lettera, le mette tra parentesi.

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In altri termini, spetta all’artista di scegliere o non scegliere la percezione estetica di un oggetto e, dunque, il suo eventuale punto di vista, anche se non può determinarne il successo.

Per esempio, nel Rinascimento l’arte era inseparabile dall’intenzione, quindi da un progetto.

Possiamo scrivere in prosa senza saperlo, ma non possiamo fare poesia inconsapevolmente.

È per questo che i pettirossi non possono essere definiti dei musicisti, così come i sognatori non saranno mai dei poeti. Su questo tema le teorie di coloro che prendono la genialità e l’inspirazione come punto di partenza sono numerose. L’arte, infatti, può anche costituire un rifugio nell’immaginario. In questo caso gioca per l’artista la stessa parte che nella psicoanalisi gioca il sogno per il sognatore. Di essere un sintomo. Qui, l’arte rivela una funzione di compensazione, appare come una rivincita sul vivere.

Ludwig van Beethoven, sordo, si sforza d’immaginare i suoni di una natura che non è più in grado di ascoltare, nasce la sesta sinfonia, detta Pastorale.

Spesso, ciò che non si riesce a vivere è disegnato, scolpito, composto o costruito. Paolo Uccello passava le notti a costruire con la carta dei poliedri sempre più complicati, dai quali sperava di trarre inspirazioni per la sua arte.

Sul fondo della creatività (o, meglio, sul suo Bestand) s’insinua ancora una volta il tema psicoanalitico della sublimazione. In molte teorie sull’arte questo tema è ignorato e con esso due momenti della personalità di estrema importanza, l’infanzia e la sessualità, che in qualche modo riducono l’opera d’arte ad una sorta di confessione cosciente o incosciente dell’artista.

In origine la vera opera d’arte era una forma prima di essere un messaggio, per due motivi. Per il suo senso, che va oltre la significazione. Perché l’opera di per sé non ha in sé altra finalità che non siano quelle comprese in sé stessa.

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Per questo motivo le teorie formaliste considerano l’arte alla stregua di un linguaggio, ma si guardano dal dire, in forma sintomatica.

In ogni modo, definire l’arte come un linguaggio per certi aspetti sembra ovvio, ma crea dei problemi. Nell’arte, infatti, l’espressione è notevolmente alterata. Se si osserva bene, la forma di comunicazione dell’opera d’arte è molto diversa dalla forma di comunicazione orale, tanto che essa sembra ridursi soprattutto alla metafora. Nessuna opera d’arte, poi, può essere assimilata alla forma del discorso. In altri termini l’estetica formalistica non può essere presa sul serio come scienza dell’arte.

Quale è allora il senso che possiamo assegnare alla storia dell’arte? Oppure, quale senso ha parlare di una storia dell’arte?

Per esempio, l’idea di un progresso nelle arti è recente, risale al XIV secolo e riguarda la poesia, la pittura e la musica. Ciò che fa nascere questa idea, in pittura, è soprattutto la svolta prospettica, essa appare come un salto qualitativo con il quale non si dipingerà mai più come prima.

Diciamo che in Occidente, fino ai primi del Novecento, ogni cambiamento di stile sarà concepito come un progresso, questa idea, però, non esiste nel pensiero dell’arte dell’Estremo Oriente, dove l’imitazione è un’abilità, un pregio.

L’idea di progresso, di per sé, è un falso problema, perché non è possibile pensare al progresso senza criteri e finalità. In realtà, qui la manifattura fa di tutto per confondere l’arte con i suoi modelli creativi.

Un progresso delle tecniche nell’arte non rappresenta un progresso dell’arte di per se stessa.

Paradossalmente una tecnica può addirittura mettere in pericolo l’invenzione estetica. Lo abbiamo visto nel cinema, l’introduzione del parlato e del colore hanno praticamente trasformato questa attività in un’industria della cultura di massa. Di contro, dobbiamo anche notare che rinunciare all’idea di progresso non significa rinunciare al senso storico, semmai ai vantaggi della tecnica.

Dal canto gregoriano alla musica elettroacustica è facile constatare che c’è stata un’evoluzione che appare in retrospettiva significativa. Noi possiamo immaginare Claudio Monteverdi prima di Arnold Schönberg e non viceversa.

Questo, nonostante che la storia dell’arte sia irriducibile ad uno schema causale, uno schema che sia possibile intendere come una testimonianza della sua intelligibilità.

In altri termini, la storicità dell’arte non corrisponde né a quella della società, né a quella delle idee.

Piuttosto, la storia dell’arte è fatta di continue rotture e di iconoclasmi rivoluzionari destinati alla domesticazione.

Tutto questo non esclude che la storia dell’arte sia anche accompagnata dall’idea di decadenza, che è un’antinomia rispetto a quella di progresso.

Già Plinio, nel primo secolo dopo cristo, parlava di decadenza e con Hegel si è parlato addirittura di morte dell’arte. In realtà, Hegel parla di Ausflösung, cioè, di dissoluzione.

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In ogni modo per riflettere sul tema della decadenza nell’arte si dovrebbero considerare anche altre rotture, quella tra religione e filosofia e quella tra arte e religione e, soprattutto, si dovrebbe riflettere su quella prosa del mondo (nella forma di un ritorno al sacro) che nella modernità ha dissacrato il reale sottraendo all’arte la sua sostanza.

La prosa di un mondo alla rovescia, che noi conosciamo inverata nella forma di spettacolo.

In ogni modo è facile scorgere nell’arte contemporanea i due sintomi con i quali Hegel diagnostica la dissoluzione dell’arte: soggettivismo e formalismo. Va da sé, il formalismo è il contrario della formatività che segue ai processi evolutivi.

L’arte mutilata dal senso, affermava Hegel, non può non precipitare nei due abissi che sono l’io capriccioso dell’artista e la forma vuota coltivata per se stessa. Da questi abissi essa risorge sempre nella forma di sacro.

Che cosa altro sono le cosiddette opere minimali di Robert Morris o di Donald Judd?

O meglio, se non sono delle mere lastre arrugginite di ferro o delle forme elementari in cemento sono icone in cui si esprime il “contenuto” della modernità.

 

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