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FLUXTALES 20

FLUXTALES20

 

Rigattiere sui Navigli a Milano. Un album di fotografie attira la mia attenzione. Quanto vuole? Mi guarda in faccia. Cinquanta euro. Fingo di essere indeciso. Poi gli metto i soldi in mano e scappo.

Contiene una ventina di foto di un balletto che ho sempre sognato di vedere. Les biches di Francis Poulenc. Sceneggiatura di Jean Cocteau. Poulenc, a cui Diaghilev aveva commissionato un balletto che ricordasse Les Sylphides di Alexander Glazunof, s’ispirò a Les Parc aux Biches di Watteau. Sono foto ingiallite in bianco e nero, probabilmente risalgono a prima della seconda guerra mondiale, eppure il telone di Marie Laurencin ha la leggerezza di un sogno con le sue cerbiatte stordite in una nuvole di blu di Prussia, impudiche quanto basta per l’audacia del desiderio. Le cerbiatte della prima ronda sgambettano nei loro tutu che immagino rosa, in uno scenario libresco, tra due pareti calcinose e biancastre. Scorro di corsa l’album, ci sono un paio di foto che attraggono la mia attenzione, sono quelle di Vera Nemčinova, assolutamente maestosa nonostante il ruolo di comprimaria della Bronislava Nijinska. Volteggia nell’aria, i neri capelli spartiti sul volto, piccolo e intenso, ha la sobrietà di una marionetta e la grandezza di una donna di altri tempi…

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In basso a destra, per chi guarda, L’Occhio Cacodilato di Francis Picabia (1921) c’è una scritta di Poulenc “j’aime la salade Povolozky J.” Jacques Povolozky, russo di nascita, non è uno chef, ma un editore, un libraio e un gallerista d’avanguardia. Potrebbe bastare, ma l’apparenza inganna! Un voluminoso dossier con il suo nome è conservato negli Archives de la Police di Parigi. La sua vita non può essere raccontata in poche righe, né giudicata. A noi bastano due cose, era amico di Jules Bonnot e sodale di Victor Serge. Altri anni…

Welcome stranger! Era il modo con cui chi aveva già bevuto accoglieva al banco del bar i nuovi bevitori. Questo cocktail risale al 1913, è tornato di moda per via del Swedish Punch che compare nella sua preparazione. Si procede così. In uno shake con ghiaccio versate un sesto di ognuno di questi ingredienti. Dry Gin, Swedish Punch, Brandy, granatina, succo di limone filtrato, succo di arancio filtrato. “Scecherate” il tutto con cura e a lungo. Servite. Lo Swedish Punch, più noto come Arak Punch è un tradizionale liquore svedese composto da arak, alcol, zucchero, acqua e aromi. L’Arak o Araq è la bevanda più nota di quell’area mediorientale detta della “mezzaluna fertile”.

In Fluxus possiamo definire forma pertinente non tanto le sciocchezze declamatorie di alcuni dei suoi clown, ma l’equilibrio migliore tra l’opera e il suo prefisso predicato.

 

Nelle arti l’abilità è un limite evolutivo, il concetto di bello un ostacolo cognitivo.

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Le reliquie in arte assicurano la continuità delle linee di potere e tarpano le ali al qui-ora.

 

Il vantaggio evolutivo di Fluxus come poetica è contenuto nel fatto che esso non dipende assolutamente dalle opere che gli vengono attribuite, piuttosto queste sono avvantaggiate dai suoi progressi sul piano della Gestalten.

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Nell’estetica della comunicazione di massa ci sono vantaggi artistici nella fissità iconica, vedi Andy Warhol. Questi vantaggi sono “anaevolutivi”.

 

Nei movimenti d’avanguardia artistici della seconda metà del Novecento gli artisti si dispongono dietro i loro orifizi estetici. Questi orifizi appaiono camuffati dalla convenienza. Solo Fluxus, preso alla lettera lo ha rivelato. In altri termini e capovolgendo la “questione”, le istituzioni in genere preferiscono gli artisti muniti di succhiatoio, la mandibola di fatto potrebbe creare problemi di identità nell’esercitarsi in quello cui è destinata. Come dire? L’aerobiosi sociale è sempre un rischio.

 

Nel lungo elenco di chi mangia e di chi viene mangiato le opere d’arte sono un condimento formale contro i bruciori di senso.

 

Nell’arte moderna le poetiche – da un punto di vista funzionale – rappresentano una sovrastruttura delle “esplicazioni” che si contrappone all’infrastruttura della Gestanten. Così, paradossalmente, esse funzionano anche come delle costrizioni evolutive di ciò che conta del fatto artistico: lo sfruttamento intellettuale della materia.

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Le poetiche nell’arte moderna sono etichette che non vanno mai considerate per la loro etimologia.

 

Di per sé il fare artistico mostra quanto sia facile alla mano il predominio sul tutto. Ne consegue che esplorare la fattività significa, in qualche modo, esplorare l’umanità.

 

Fino a un certo punto nella scala evolutiva l’intelligenza è un carattere alimentare.

 

Il ricamo poetico non è mai un filo per filo, semmai – dal punto di vista del “segno” è un’ipoglossa.

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La pulsione scopica non è mai poetica, piuttosto è psicotica, visto che si orienta sempre verso l’oggetto perduto in cui il soggetto racchiude il senso.

 

La nudità nel visuale di che cosa si fa corpo se la parola spogliata scompare sotto il sintomo?

 

Contro gli stratagemmi del senso le avanguardie vollero frazionare – per decomporlo – il divenire significato della forma, non ne manipolarono che i volumi!

 

La poesia glorifica sempre qualcosa. Quella che si definisce visiva la sua architettura di carta.

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Davanti a Antoine Watteau e a Jean-Honoré Fragonard la domanda è: quanto è costato al Novecento il tradimento del diciottesimo secolo? Non basta, infatti, sostenere che siamo finiti semplicemente nelle mani dei pasticheur della socialità.

 

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FLUXTALES 19

FLUXTALES19

In arte la forma liberata dalla diarrea del contenuto è implacabile e ineluttabile, da qui il sogno di Fluxus di George Maciunas.

 

Il mondo è pieno di sognatori dell’antiarte. Ma che cos’è? Il concetto di antiarte è una semplice connessione della psicosi come sintassi.

 

Ha scritto Friedrich Nietzsche, noi non meritiamo neppure il mondo delle apparenze.

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Lo statuto dell’etica era filosofico, oggi è mondano, deprivato degli assoluti e relativizzato sulle spoglie della piccola storia.

 

Storia sociale e cultura materiale. Sono questi gli utensili dell’entomologo sociale!

 

Nella società mercantile spettacolare la rappresentazione è compresa nel sogno di un paio di occhiali.

 

La democrazia borghese che vogliono infliggerci con i bipartitismi è una forma di patriarcato della politica, ha i suoi giullari e le sue odalische.

 

Per spezzare una vanga. Condizione femminile e civiltà: non sono forse la donne che hanno assicurato al loro sorgere i sistemi agro cerealicoli?

 

Alle dodici e cinquanta di oggi cliccando “duchamp gruyère emmenthal” sono comparsi tredicimila e settecento collegamenti. È forse per questo che arte è vita? A parte la domanda sub rosa perché tanto misticismo delle cause?

 

Tra i se-dicenti artisti Fluxus ci sono due partiti. Quelli per cui l’arte è facile. Quelli per cui l’arte è vita. Peccato che le istituzioni non li fanno votare per paura del grottesco!

 

Ci sono bordi e bordi. Quelli tra la veglia e il sonno, quelli tra la ragione e il crepuscolo. Quest’ultimi sono quelli che – secondo Hegel – l’uccello di Minerva taglia di netto con il suo volo.

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Le parole-valigia sono una forma sintattica delle mappe. Lo intuì a suo tempo Lewis Carroll, esse favoriscono l’arte della connessione che ha in Alice la sua regina di senso.

 

È più insopportabile il sapere o la verità! Evidentemente il sapere che fa la verità.

 

Blue Monday detto anche Caucasian. La ricetta classica è: tre quarti di wodka, un quarto di Cointreau, una goccia di Blue Vegetable Extract (Blue food coloring). Molto ghiaccio, agitare con cura. I barman sulla Madison Avenue ci aggiungono qualche goccia di Ketel One Citroen (una wodka da supermercato) e di Martini Extra Dry. Sbagliato! Così come è sbagliato colorarlo con l’orribile Bols blue Curaçao e decorarlo con una fettina di arancio. Gli anarchici russi a Parigi lo correggevano con la polvere nera di una cartuccia e lo chiamavano Red Monday! Le pétroleuse, invece, sostituivano il Cointreau con l’anisette Marie Brizard. Una curiosità, il Blue Monday per gli inglesi è il venti gennaio.

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Se il sapere fa la verità, non diventa sapiente chi vuole, ma diventa veritiero chi mente per dire la verità.

 

L’etimo di attraversare rimanda a ciò che non si può dire se non con il tacere!

Con la poesia guardata (visiva) i bischeri riducono la spur a traccia oftalmica.

Marcel Duchamp, che la cronaca sull’ennesima vendita a rate di CD sull’arte moderna definisce padre di Jasper Johns e di Robert Rauschenberg, ha sorpassato il retinico con la cassetta del piccolo chimico, con il risultato che non è più possibile vantare un senso all’alterazione delle condizioni di sintassi-sfondo iconico di una forma visuale.

 

Diceva il mio professore di latino, i fondati motivi non galleggiano mai sulla superficie della pagina.

 

La pulsione scopica non è mai poetica piuttosto è psicotica, considerato che si orienta sempre verso l’oggetto perduto in cui il soggetto seppellisce il senso.

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Piazzale Cadorna, Milano, tra un treno e l’altro. Mi guardo intorno. Solo quel gran coglione di Le Corbusier poteva disprezzare senza vergognarsene il disordine delle strade costruite sul cammino degl’asini.

 

La nudità del visuale di cosa si fa corpo se la parola spogliata scompare sempre sotto il sintomo?

 

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