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CON.NEXIONI 6

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Frère ange de Charolois
Dis-nous par quelle aventure
Le cordon de Saint François
Sert à Vénus de ceinture. 

 01

Il mondo visibile non è più rappresentabile, e il mondo invisibile non è più configurabile.  La fatica della scrittura, dopo l’ermetismo, è patetica.  Il viaggio al termine della poesia si è concluso con il Novecento, battigia del chiliasmo.

 

Perché la fatica del poeta è patetica?  Perché come un somaro accecato sogna di confezionare  informazioni autre, invece di immagini.  Ciò che era caldo ieri sul Carso si è raffreddato nelle pievi editoriali a pagamento.  Diceva quel quacquero di Kenneth Bouling, l’interesse per il significato ha sopraffatto quello per l’effetto.  Con il risultato che una volta la poesia era incomprensibile oggi è illeggibile!

 

Cinema muto e anoressia, il due grandi maestri della “food-art”.

 06

Le istituzioni nell’arte moderna sono il “Grande Altro” che dispone del patrimonio simbolico delle opere ordinandole dal punto di vista del loro potere di domesticazione e del loro valore mercantile.

In questo senso il potere pratico che le istituzioni esercitano affonda le sue palafitte nel narcisismo degli artisti che non possono fare a meno di esibirsi davanti allo sguardo dell’Altro da se.

 

L’opera d’arte moderna è come la lettera lacaniana.  Giunge sempre a destinazione, non importa dove, non importa con quale ritardo…sarà sempre incompleta!

 04

È liberale e formativo nella società dello spettacolo chiedere al consumatore se è d’accordo nell’accettare un destino mercantile.  È consuetudine dei consumatori rispondere affermativamente.  Per il successo di questo patto scellerato non è estranea la circostanza per la quale l’arte, da qualche tempo a questa parte, usa il linguaggio della comunicazione pubblicitaria mercantile per rendere performativo il potere coercitivo della forma estetica.

 

Dicono le istituzioni: tu vedi, ma non ti serve a niente.  Noi ti possiamo educare a guardare in modo che le tue scelte siano libere di poter essere quello che a noi conviene!

 

L’arte che conviene allo spettacolo non è quella che contribuisce a organizzare la simbolizzazione, ma quella che ne rivela la pratica collettiva.  Per intenderci.  Le Marylin di Andy Warhol non sono altro che la simbolizzazione di una ragazza di provincia che arriva nella Venezia di Casanova e sogna una camicia da notte ridotta a due gocce di profumo.

05

Le vittorie del gusto non sono mai estetiche, ma politiche.  Vale a dire morali.

 

Gli artisti peggiori nella modernità sono quelli che affermano di “relazionarsi politicamente” all’arte mentre tentano di confezionare opere d’arte o, se si vuole, per dare un senso alle opere che confezionano.

 

Nell’arte moderna il valore è un significato che fa dell’utilità un sintomo.

 

L’autunno era per l’uomo medioevale quello che è oggi l’inizio del campionato di calcio per l’uomo moderno.  Un paradosso se non si tiene conto che ciò che la scrittura guadagna in controllo si perde in esperienza acquisita.  Sarà per questo che i poeti sono infantili!

 

Nell’arte moderna, grazie alla mediazione delle istituzioni, il successo arriva quando è il valore a creare l’opera.  Perché?  Perché nell’arte moderna il valore è un significato che fa dell’utilità un sintomo.  Non è dunque per caso che nel ventesimo secolo l’umanità della cultura occidentale è scivolata via nelle tubature di un orinatoio e conservata in una scatoletta di merda.

03

In L’ideologia Tedesca Marx e Engels scrivevano che quasi tutte le ideologie si riducono ad una concezione falsa della storia o a farne totalmente un’astrazione, oggi molta parte di questo lavoro è affidato alla retorica delle avanguardie che educano agli spazi in rovina, al tempo che si è fermato, alla frammentarietà del visuale nel quale l’uovo di serpente della confusione rafforza ogni rassegnazione.  Perché questo ruolo delle avanguardie?  Non è difficile spiegarlo.  Ci sono voluti secoli per convincere gl’uomini ad inchinarsi davanti a delle creazioni di cui erano i creatori, per obbligarlo ad inchinarsi davanti alla decomposizione del reale – se non si vuol perdere tempo – occorre poter controllare fino in fondo i processi culturali e il potere “performante” delle menzogne.

02

La storia sociale e la cultura materiale hanno una prosa attraverso la quale si esprimono.  Questa prosa è tanto lontana dal senso comune infettato dalla forma di merce quanto è capace di portare alla luce ciò che rende il tempo storico inverificabile.

È una prosa che non ha nulla di filosofico.  È una legittima suspicione spiccata contro i limiti della filosofia in un momento nel quale il rumore di fondo del politico rende equivalenti tutte le informazioni e tutti i valori.

Ha scritto il barone d’Holbac: “Non c’è una sola azione, una sola parola, una sola volontà una sola passione in coloro che concorrono alla rivoluzione sociale, non importa se come distruttori o vittime…che non provochi infallibilmente gli effetti che essa deve provocare, secondo il posto che occupano questi protagonisti in questa tempesta morale”.

 

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CON.NEXIONI 5

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La rappresentazione tende a modellarsi negli stampi ideologici del luogo comune, perché solo la costanza genera la tradizione.

05

Il controllo del “linguaggio” dell’arte è ciò che garantisce nella società virtuale l’involucro sociale della forma di spettacolo.

 

Qualcuno vide lo spirito del mondo a cavallo, non si domandò chi pagava la biada.  La miseria della filosofia ha molti volti.

 

Occorre saper diffidare della critica d’arte, costruisce la sua innocenza fatta di “poetiche educative” rovinando quelle che l’hanno precedute.  Come dire, non sa costruire castelli in aria.  In ogni modo, il problema non è tanto quello di elaborare delle poetiche, ma definirle storicamente in modo che le istituzioni possano fare affidamento su di esse per le loro strategie mercantili.

02

In arte l’inganno della bellezza avrebbe dovuto rivelarsi quando è apparso chiaro che, grazie all’ontologia, tutto è bello senza esserlo e, poi, è la verità e non la bellezza a essere nuda.  La bellezza è vestita dei suoi sintomi, gli stessi che spogliano la verità.  Per semplificare.  Dove risiede l’inganno della bellezza?  Nella sua età, non è mai giovane!

 

A proposito di sintomi.  La felice indecenza dei vizi combatte i sintomi che calcificano la rappresentazione.  Perché felice?  I vizi non hanno autorità.

 

La bellezza si sciupa perché non si può fare a meno di storicizzarla mentre si esalta la sua immutabilità.

 

In arte la commozione è un vezzo vittoriano, è più credibile e sincero il “quanto vale”, l’altra faccia del “che vuoi” lacaniano.

 

Il controllo del “linguaggio” dell’arte è ciò che garantisce l’involucro sociale della forma di spettacolo nella società visuale.  Per altri versi.  Redimere per rinnovare.  Lo si può fare solo con il bello quando ha esaurito il suo corso.

 01

Per immaginare la caduta di Icaro Pieter Bruegel fu costretto a inventare un paesaggio.  In questo “quadro” Icaro è il sintomo, il paesaggio la performance.  Ma tutti non hanno occhi che per il sintomo, ignorando la performance.  Solo così il sembiante resta confinato nell’ovvio.

 

Paradossalmente l’ideale mimetico nelle arti è ancora più performativo che mai, perché garantisce l’adesione assoluta dell’artefatto alla merce e da questa al valore.  Questo legame non ha radici estetiche, ma poggia su l’astratta equivalenza di tutte le merci davanti alla forma di valore.  In ogni caso, l’esca del valore nei regimi mercantili è sempre più velenosa delle esche estetiche.

 

L’arte non è tanto un linguaggio che svela l’insolito che si accompagna all’ovvio, ma un congegno che fa affiorare come queste due realtà si formano.

03

Dove si trova la consapevolezza della vita corrente, vale a dire il bene morale superiore?  Nel cruccio di una creatura che ha una forma adeguata allo scopo.  La più bella definizione di sintomo.  Conviene rileggere Kakfa:  La preoccupazione del padre di famiglia.  Alcuni dicono che la parola Odradek derivi dallo slavo e cercano di chiarire su questa base la formazione della parola. Altri invece ritengono che derivi dal tedesco, e che dallo slavo sia solo influenzata.  L’incertezza di entrambe le interpretazioni però fa a buon diritto concludere che nessuna delle due sia corretta, anche perché nessuna permette di trovare un senso.  Naturalmente nessuno si occuperebbe di tali questioni se non esistesse davvero un essere che si chiama Odradek.  A prima vista sembra un rocchetto piatto di filo, a forma di stella, e in effetti sembra anche avere del filo arrotolato; si tratta però solo di pezzetti di filo strappati, vecchi, annodati e anche ingarbugliati fra loro, di tipi e colori dei più disparati.  Non è però solo un rocchetto, ma dal centro della stella spunta un piccolo bastoncino obliquo, e a questo bastoncino un altro se ne aggiunge ad angolo retto.  Aiutandosi da un lato con quest’ultimo bastoncino e dall’altro con un raggio della stella, il tutto può stare in piedi come su due gambe.  Si sarebbe tentati di credere che una tale creatura abbia avuto in passato una qualche forma adeguata a uno scopo, e che ora sia semplicemente rotta.  Ma sembra che non sia così, per lo meno non se ne trova alcun segno; non si vedono aggiunte o fratture che potrebbero far pensare qualcosa del genere; il tutto sembra certo insensato, ma nel suo genere concluso. D’altronde, non se ne può dire niente di più preciso, perché Odradek è straordinariamente mobile e non si lascia prendere.  Si intrattiene ora sul tetto, ora nelle scale, ora nei corridoi, ora nell’atrio.  A volte non lo si vede per mesi; evidentemente si è trasferito in altre case; torna poi però invariabilmente in casa nostra.  A volte, quando si esce dalla porta, sta proprio lì sotto appoggiato alla ringhiera delle scale, e viene voglia di parlargli.  Naturalmente non gli si fanno domande difficili, ma lo si tratta – già la sua piccolezza induce a questo – come un bambino. “Come ti chiami?” gli si chiede. “Odradek”, dice. “E dove abiti?” “Sono senza fissa dimora” dice, e ride; ma è solo una risata come la può emettere chi è senza polmoni. Suona all’incirca come il fruscio delle foglie cadute.  Per lo più, con questo il colloquio finisce.  D’altronde anche queste risposte non sempre si possono ottenere; spesso resta muto a lungo, come il legno di cui sembra esser fatto.
Mi chiedo inutilmente cosa avverrà di lui. Forse che può morire? Tutto ciò che muore ha avuto prima una specie di scopo, una specie di attività sulla quale si è logorato; questo non è il caso di Odradek. Forse dovrà allora un giorno rotolare ancora per le scale trascinando i suoi fili arrotolati fra i piedi dei miei figli, e dei figli dei miei figli?  Certo, non fa danno a nessuno; ma questa idea, che possa anche sopravvivermi, mi dà quasi un dolore.

 04

A uno studente curioso:  C’è un criterio assoluto per valutare se un’opera – prescindendo dalla poetica che la istituisce – è correlata a Fluxus.  L’incapacità di essere redimibile.

 

Le istituzioni in arte sono il “grande altro” che dispone del loro patrimonio simbolico degli artefatti ordinandoli dal punto di vista della loro assuefazione alla domesticazione e del loro valore mercantile.  Perché? Perché i significati abitano anche a nostra insaputa l’ordine della vita.  Ripetiamolo: Nell’arte moderna il valore è un significato che fa dell’utilità un sintomo.

 

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