CON-NEXIONI 5
La rappresentazione tende a modellarsi negli stampi ideologici del luogo comune, perché solo la costanza genera la tradizione.
Il controllo del “linguaggio” dell’arte è ciò che garantisce nella società virtuale l’involucro sociale della forma di spettacolo.
Qualcuno vide lo spirito del mondo a cavallo, non si domandò chi pagava la biada. La miseria della filosofia ha molti volti.
Occorre saper diffidare della critica d’arte, costruisce la sua innocenza fatta di “poetiche educative” rovinando quelle che l’hanno precedute. Come dire, non sa costruire castelli in aria. In ogni modo, il problema non è tanto quello di elaborare delle poetiche, ma definirle storicamente in modo che le istituzioni possano fare affidamento su di esse per le loro strategie mercantili.
In arte l’inganno della bellezza avrebbe dovuto rivelarsi quando è apparso chiaro che, grazie all’ontologia, tutto è bello senza esserlo e, poi, è la verità e non la bellezza a essere nuda. La bellezza è vestita dei suoi sintomi, gli stessi che spogliano la verità. Per semplificare. Dove risiede l’inganno della bellezza? Nella sua età, non è mai giovane!
A proposito di sintomi. La felice indecenza dei vizi combatte i sintomi che calcificano la rappresentazione. Perché felice? I vizi non hanno autorità.
La bellezza si sciupa perché non si può fare a meno di storicizzarla mentre si esalta la sua immutabilità.
In arte la commozione è un vezzo vittoriano, è più credibile e sincero il “quanto vale”, l’altra faccia del “che vuoi” lacaniano.
Il controllo del “linguaggio” dell’arte è ciò che garantisce l’involucro sociale della forma di spettacolo nella società visuale. Per altri versi. Redimere per rinnovare. Lo si può fare solo con il bello quando ha esaurito il suo corso.
Per immaginare la caduta di Icaro Pieter Bruegel fu costretto a inventare un paesaggio. In questo “quadro” Icaro è il sintomo, il paesaggio la performance. Ma tutti non hanno occhi che per il sintomo, ignorando la performance. Solo così il sembiante resta confinato nell’ovvio.
Paradossalmente l’ideale mimetico nelle arti è ancora più performativo che mai, perché garantisce l’adesione assoluta dell’artefatto alla merce e da questa al valore. Questo legame non ha radici estetiche, ma poggia su l’astratta equivalenza di tutte le merci davanti alla forma di valore. In ogni caso, l’esca del valore nei regimi mercantili è sempre più velenosa delle esche estetiche.
L’arte non è tanto un linguaggio che svela l’insolito che si accompagna all’ovvio, ma un congegno che fa affiorare come queste due realtà si formano.
Dove si trova la consapevolezza della vita corrente, vale a dire il bene morale superiore? Nel cruccio di una creatura che ha una forma adeguata allo scopo. La più bella definizione di sintomo. Conviene rileggere Kakfa: La preoccupazione del padre di famiglia. Alcuni dicono che la parola Odradek derivi dallo slavo e cercano di chiarire su questa base la formazione della parola. Altri invece ritengono che derivi dal tedesco, e che dallo slavo sia solo influenzata. L’incertezza di entrambe le interpretazioni però fa a buon diritto concludere che nessuna delle due sia corretta, anche perché nessuna permette di trovare un senso. Naturalmente nessuno si occuperebbe di tali questioni se non esistesse davvero un essere che si chiama Odradek. A prima vista sembra un rocchetto piatto di filo, a forma di stella, e in effetti sembra anche avere del filo arrotolato; si tratta però solo di pezzetti di filo strappati, vecchi, annodati e anche ingarbugliati fra loro, di tipi e colori dei più disparati. Non è però solo un rocchetto, ma dal centro della stella spunta un piccolo bastoncino obliquo, e a questo bastoncino un altro se ne aggiunge ad angolo retto. Aiutandosi da un lato con quest’ultimo bastoncino e dall’altro con un raggio della stella, il tutto può stare in piedi come su due gambe. Si sarebbe tentati di credere che una tale creatura abbia avuto in passato una qualche forma adeguata a uno scopo, e che ora sia semplicemente rotta. Ma sembra che non sia così, per lo meno non se ne trova alcun segno; non si vedono aggiunte o fratture che potrebbero far pensare qualcosa del genere; il tutto sembra certo insensato, ma nel suo genere concluso. D’altronde, non se ne può dire niente di più preciso, perché Odradek è straordinariamente mobile e non si lascia prendere. Si intrattiene ora sul tetto, ora nelle scale, ora nei corridoi, ora nell’atrio. A volte non lo si vede per mesi; evidentemente si è trasferito in altre case; torna poi però invariabilmente in casa nostra. A volte, quando si esce dalla porta, sta proprio lì sotto appoggiato alla ringhiera delle scale, e viene voglia di parlargli. Naturalmente non gli si fanno domande difficili, ma lo si tratta – già la sua piccolezza induce a questo – come un bambino. “Come ti chiami?” gli si chiede. “Odradek”, dice. “E dove abiti?” “Sono senza fissa dimora” dice, e ride; ma è solo una risata come la può emettere chi è senza polmoni. Suona all’incirca come il fruscio delle foglie cadute. Per lo più, con questo il colloquio finisce. D’altronde anche queste risposte non sempre si possono ottenere; spesso resta muto a lungo, come il legno di cui sembra esser fatto.
Mi chiedo inutilmente cosa avverrà di lui. Forse che può morire? Tutto ciò che muore ha avuto prima una specie di scopo, una specie di attività sulla quale si è logorato; questo non è il caso di Odradek. Forse dovrà allora un giorno rotolare ancora per le scale trascinando i suoi fili arrotolati fra i piedi dei miei figli, e dei figli dei miei figli? Certo, non fa danno a nessuno; ma questa idea, che possa anche sopravvivermi, mi dà quasi un dolore.
A uno studente curioso: C’è un criterio assoluto per valutare se un’opera – prescindendo dalla poetica che la istituisce – è correlata a Fluxus. L’incapacità di essere redimibile.
Le istituzioni in arte sono il “grande altro” che dispone del loro patrimonio simbolico degli artefatti ordinandoli dal punto di vista della loro assuefazione alla domesticazione e del loro valore mercantile. Perché? Perché i significati abitano anche a nostra insaputa l’ordine della vita. Ripetiamolo: Nell’arte moderna il valore è un significato che fa dell’utilità un sintomo.
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