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FLUXTALES 10

FLUXTALES 10

 

Con lo sviluppo dell’informatizzazione i luoghi hanno perso le caratteristiche di un topos.

In altri termini, il collasso delle forme tradizionali di controllo modifica la fenomenologia del luogo e fa sparire la forma di margine e con essa il principio di realismo. Tutto si tiene. Se spariscono i margini si moltiplicano i centri. Se si moltiplicano i centri si moltiplicano le forme di potere.

 

Un paradosso. Gli spazi chiusi non hanno margini perché sono immaginari.

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Nella modernità soggetto e contenuto dell’opera sono superflui. Il contrario trasformerebbe l’apparato dei readymade di Marcel Duchamp in una sorta di oggettistica pompier.

 

Dal punto di vista di Fluxus. L’ultima arte possibile è quella di s’accomoder des restes.

 

L’ovvio nell’arte è anche un riflesso mediatico. Per questo le istituzioni valorizzano solo ciò che le valorizza esaltando il loro logo. Ma non tutte le ciambelle riescono con il buco. Per la cultura visuale globalizzata dalle istituzioni l’ovvio invera l’unica arte possibile, quella pompier, che esse alla fine amano follemente. Va da sé. Alle istituzioni importano solo le opere memorabili, quelle che restano nella memoria dello spettatore come un brand del loro potere culturale.

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Oggi il conformismo nell’arte ha due volti. Quello delle istituzioni che ne difendono il mercato così com’è. Quello degli artisti che oppongono resistenza a ogni possibile secessione.

 

Il culmine di un Fluxevent. Nessuno spettatore, solo attori. Il perché è presto detto. Un Fluxevent è una forma di teatro del “villaggio globale” senza quinte. (Un Fluxevent non ha margini, ma solo artifici prospettici.)

 

La natura di un Fluxevent è orale perché ricompone la separazione tra composizione e esecuzione.

 

Da tempo la scrittura della critica d’arte non è in grado di rendere ciò che l’opera illumina. Dovrebbe riconsiderare la sua antica abilità a generare ostacoli.

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L’ovvio si rivela quando si sospende il senso. È un esercizio sul filo del rasoio, perché rivelandosi si banalizza lasciando affiorare gli enigmi che per loro natura nell’arte sono impensabili.

 

Fluxus delegittima l’evidenza, in questo – suo malgrado – è l’erede degli apparati del readymade.

 

Si racconta che siamo passati per merito delle avanguardie storiche da una pittura retinica a una pittura sintomatica. Ma che cos’è un sintomo? Nelle arti è una forma inibitiva dell’oggettivo che fa parlare il rimosso. Peggio per noi. La pittura come la verità dei metafisici non parla che di se stessa.

 

Se il senso è l’effetto dell’ovvio l’arte incanta! (Ancora una volta. L’ovvio è il senso dotato di un contenuto: il significato.)

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Il sogno di Fluxus. Rendere invisibile il visibile attraverso l’ovvio. Dopo McLuhan questo ovvio è il visuale.

 

L’arte che ci meritiamo ha l’aspetto delle bordature. Per questo Fluxus, senza riuscirci, è stato un continuo rimediare alle lacerazioni del godimento. Riorlare, ricucire, rammendare: i nuovi predicati della scrittura in agonia.

 

Rimediare alle lacerazioni del godimento significa organizzare il vuoto nella speranza che in esso l’invenzione del reale provochi una qualche pulsione nella forma – direbbero i lacaniani – di oggetto piccolo(a).

 

Se la pittura è una superficie occorre che sia scompaginata, ma la scompaginatura forclude le trou. Che ne faremo dell’isteria nell’epoca degli immateriali?

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In un Fluxevent non occorre distruggere il narrativo per ostentare l’orrore della rappresentazione. Piuttosto c’è bisogno di far emergere l’indescrivibile nel cuore stesso dell’event.

 

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