FLUXTALES 13
Fluxus. Una prassi senza assiomatica.
Fluxus. Che cos’è un sandwich? La storia stratificata delle immagini “capitonnata” con la cronaca stratificata del gergo critico.
Fluxus. Spesso l’impensato collima o confina con le aree di censura istituite dal potere economico delle istituzioni.
Fluxus. Una strategia per forzare i limiti della rappresentazione per riappropriarsi del sintomo.
Fluxus. Il concetto di fine nell’arte è a-dialettico. Per questo Fluxus è una piega sullo spartito della rappresentazione.
Fluxus. Che succede se la percezione del tempo dell’azione (Fluxevent) tende a divenire tempo quotidiano?
Fluxus. La qualità di un Fluxevent sono l’intermittenza e la vaganza. Due modi di lesionare il determinismo storico della rappresentazione.
Fluxus. Per la piccola borghesia rigoroso significa stirato. Guai a stirare le pieghe del sintomo!
Fluxus. Estirpare l’intelligibilità dell’opera dal talamo della storia mina il potere di predizione del suo valore mercantile.
Fluxus. Prendere le fattezze dell’impensato è per gli sciocchi diventare partigiani delle parte maledetta del vero. L’infantilismo critico ha le sue esaltazioni.
Fluxus. Può anche apparire come un’intrusione anacronistica. Per esempio, quella di un idraulico maldestro che smonta una porcellana sanitaria ingiallita dall’orina della fountain.
Fluxus. Per comprenderlo basta una definizione al contrario di ciò che sono state le avanguardie storiche.
Fluxus. Chi considera l’arte un pharmakon (magari, sociale) è destinato a vivere con la “diarrea” delle rappresentazioni.
Fluxus. Un modo di connessione dell’informe che guida gli avventurieri all’erranza poetica.
Fluxus. In Fluxus c’è un’incompatibilità con l’espressione di avanguardia. Chi conosce le arti sperimentali non ha bisogno di essere audaci.
Fluxus. Le istituzioni sono sempre state sospettose nei confronti di Fluxus. Del resto, chi si fiderebbe a far entrare una volpe nel pollaio della rappresentazione?
Fluxus. Dal punto di vista della cultura materiale Fluxus è un “oggetto di sapere” complessificato dalla grammatica del non–sense.
Fluxus. Là dove c’è non–sense là c’è un sintomo. Quando il primo è illuminato l’altro risplende. Come dire? Là dove c’è un inconscio là dovrebbe essere cercato Fluxus. Ma a cosa servono i sintomi? A fare brecce.
Fluxus. Dove c’è misura, là muore la storia. Che sia un’ipotesi di dis-misura?
Fluxus. Le box di George Maciunas sono la prova provata che nell’archeologia dell’impensato sono le relazioni tra gli oggetti a plasmare l’opera. Dunque. Queste box sono proiezioni di sintomi, esattamente come Maciunas è stato uno psicanalista. Non c’è migliore spiegazione per le defezioni dei suoi pazienti/artisti.
Fluxus. I sintomi sono come i punti di validazione delle somiglianze tra due impronte. Nel paradigma dell’arte fanno sistema.
Fluxus. L’età delle avanguardie storiche è oscura, su di essa domina la complicità dei sintomi. Aspettando la decade dell’illusione si poteva essere moderni e innocenti con poco.
Fluxus. Il sogno infranto delle avanguardie è stato quello di creare un artefatto dello spazio culturale. Non per caso più di un’avanguardia ha cercato di padroneggiare una nuova alfabetizzazione visuale.
Fluxus. L’insofferenza per Fluxus ha spinto le istituzioni a gabellare le performance in una parodia della mediazione culturale, soprattutto nelle zone della frontiera meridionale di questo movimento.
Fluxus. Fluxus è refrattario, anche se non per suo merito, allo sfondo come una forma di linguaggio. In questa prospettiva l’arte è un mondo e le istituzioni decidono quali delle sue illusioni devono sopravvivere all’oblio.
Fluxus. Le istituzioni museali sono forme oligarchiche destinate a educare alla memoria.
Fluxus. Le istituzioni non sopportano Fluxus perché esso è come il comunismo nelle paure di Carl Gustav Jung: una preformazione barbarica dell’hic et nunc.
Fluxus. C’è un arcano che avvicina Fluxus a una meridiana. Basta pensare che questa è un orologio senza parti mobili.
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