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FLUXTALES 12

FLUXTALES 12

La modernità visuale non è altro che una dépense della forma.

 

A proposito dell’epoché husserliana, se si scolora spariscono le opere d’arte che hanno le loro impalcature sulle finalità esteriori. Per esempio le Marylin di Andy Warhol.

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C’è un segreto nel coup de dés di Stéphane Mallarmé: chi ha creato il caso poi non può sfuggirgli!

 

Nel Wozzeck di Alban Berg la consonanza si coniuga con la dissonanza. Se l’accettiamo come una sorpresa diventa una consolazione.

 

Il culmine della “poesia sonora” lo si può ascoltare nel Concerto per fonografo di Paul Hindemith e Ernst Toch che trattano questo apparecchio come un artefatto.

 

Può apparire inverosimile, ma mentre John Cage leggeva la sua famosa conferenza sul buddismo arrampicato su una scala al Black Mountain College, Robert Rauschenberg lo accompagnava mettendo dei dischi di Edith Piaf sul giradischi, alterandone la velocità di ascolto. Nello stesso momento a Parigi la Piaf contava Padam Padam.

 

Attenzione a usare impunemente il concetto di astrazione. Dietro di esso sonnecchia il gatto dell’aphaïréis aristotelica nella forma di un felino.

 

Quando Fluxus “di.mostra” che la banalità è l’essenza di qualcosa, come lo è l’originalità, regredisce sul bagnasciuga della rappresentazione dove lo aspetta Friedrich Shelling.

 

Le poetiche emergono dal nulla, senza criteri e senza finalità, perché la critica d’arte si ostina a vederle come una forma di progresso? (Dal nulla, come il sintomo.)

 

Il nido del sapere assoluto ha molti arbusti sulle scogliere della religione estetica.

 

L’esattezza compositiva è una costanza che rimanda al suono non alla musica (Cage).

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Nei Fluxevent i dettagli sono figure semiotiche piuttosto che significanti.

 

Mai dimenticarlo. In arte i sintomi hanno coperchi a strappo! In altri termini, la rappresentazione efficace è quella che ha in sé gli inneschi della propria dissoluzione.

 

Chi indugia nell’incanto dei truismi ha padri e temi, non orizzonti.

 

Dopo la lezione degli epigono post-kantiani l’empiria si è rivelata una sorta di architettura delle rovine.

 

Il buon uso delle domande retoriche consiste nell’usarle come sonda per esplorare la dialettica dell’equivoco.

 

Da tempo l’ontologia fa da balia asciutta alla rappresentazione. In fondo l’essere appare sempre come un realismo stantio.

 

Il giudizio nella forma di mappa è sempre sedativo. Consola gli intronauti della bellezza come faro della navigazione artistica, coloro che intendono l’estetica come una summa che articola i percorsi della sublimazione. (La bellezza in arte ubriaca gli astemi.)

 

L’incubo di Arthur Danto. Ciò che l’opera mostra è ciò che l’opera ha in sé.

 

Che cos’è la rappresentazione nell’incanto euclideo? È il processo che trasforma tre linee che s’intersecano in un triangolo.

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La madre del dio monoteista è la “mezzaluna fertile”.

 

Per i gentili è difficile rifarsi al midrash con il quale l’opera si volge a se stessa. Perché? Perché la rappresentazione non ha modalità e non esiste in assoluto fuori dalle religioni.

 

C’è una condizione necessaria perché qualcosa sia ritenuto un “oggetto artistico” , che esista nella forma di feticcio.

 

Nel sistema delle istituzioni invece che le figure dominano i ruoli.

 

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