Politecnico di Milano, Anno Accademico 2012–2013.
Cattedra di FOOD-DESIGN.
Esercitazione numero undici.
(Mercoledì 12 giugno 2013.)
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Il gioco, l’oca e il labirinto.
Il gioco è una sofisticata espressione della praxis che riconcilia il cambiamento e la persistenza. La libertà e la regola. L’emotività dei sensi e la forza creatrice della ragione.
Eraclito intuiva nella phusis il gioco del tempo. Friedrich Schiller (1759-1805) vede nel gioco una categoria estetica fondamentale.
In una prospettiva fenomenologica il gioco è un miscuglio di caso (libertà) e di necessità (regole) il più delle volte come dispositivo materiale (la forma del gioco in sé) e simbolico (le regole che ne consentono il divenire e possiedono una propria finalità).
Roger Caillois distingue quattro tipi di gioco. L’agôn, cioè la competizione, l’insieme dei giochi di lotta. L’aléa, cioè il gioco d’azzardo, l’unico che gli animali non conoscono. Mimecry, (da mimetismo in inglese), i giochi di simulazione – “illusione” deriva da latino ludere, giocare. Ilinx, il gioco d’acqua in greco, i giochi di stordimento e di distrazione.
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Sessantatre caselle disposte a spirale, in forma ellittica o ovoidale, su una tavola, due dadi a guidarci nel cammino – di solito dall’esterno verso il centro, la mèta, detta il “giardino dell’oca” – insidie, inganni, incontri, trabocchetti ci attendono su di esso: nulla di più semplice, nulla di più misterioso. È il gioco dell’oca, uno dei più antichi giochi di percorso che nel Rinascimento, insieme ai labirinti vegetali, i giardini, laicizza le illusioni della fede come tortuosa via di salvazione. La maggior parte degli studiosi sostiene che la tavola più antica sia quella del “Dilettevole gioco di Loca” di Carlo Coriolani, stampata a Venezia nel 1640.
L’iconografia e le storie del gioco dell’oca sono diverse e mutano secondo le tradizioni locali e le cronache della petite histoire.
In genere c’è un ponte alla casella numero sei, una locanda alla diciannove, un pozzo alla trentuno, un labirinto alla quarantadue, una prigione alla cinquantadue, un pericolo mortale alla cinquantotto. Ci sono due caselle, la ventisei e la cinquantatre che contengono due dadi, due enigmi, altre che raffigurano oche.
Da un punto di vista grafico i giochi più belli sono quelli del diciottesimo e del diciannovesimo secolo, è facile riconoscerli, hanno delle arcate che indicano l’ingresso e l’uscita nel giardino. L’obiettivo del gioco è chiaro, arrivare per primi alla fine del percorso, evitando le caselle che ci rallentano o ci arrestano e cercare di passare per quelle favorevoli.
Per molti è un semplice passatempo, per altri nasconde una natura esoterica, possiede un linguaggio occulto, è un pellegrinaggio, un viaggio al centro del nostro cuore.
Oggi le caselle sono i simulacri delle difficoltà dell’uomo, delle sue speranze culturali, politiche, sociali, legate alla vita corrente.
Quanto all’oca nell’antichità ha sempre avuto una complessa valenza simbolica e cucinaria, era apprezzata dai Greci e dai Romani. In Inghilterra celebra il 29 settembre, giorno dell’arcangelo Michele, chi la mangia non troverà difficoltà a pagare i suoi debiti. Di essa non si butta niente, dalle piume alla carne, al fegato, alle zampe che abbrustolite erano un ghiotto spuntino dell’antica Roma. Nel ‘700 si festeggiava con essa l’arrivo dell’inverno mangiando l’oca a San Martino, l’11 novembre.
Nel simbolico era associata alla consultazione della sorte, aveva una valenza divinatoria, gli Egizi la veneravano e il suo geroglifico “ka” lo spartiva con l’imperatore. Quattro oche in volo verso i quattro punti cardinali celebravano l’arrivo di un nuovo faraone e l’inizio di una nuova era. Sono state le vigili guardiane del tempio e della casa, difesero Roma avvertendo i suoi soldati dell’assedio dei Galli. Con il cigno è il simbolo della Grande Madre. Gli antichi popoli gaelici chiamavano dell’oca la sapienza degli dei. I mastri costruttori di cattedrali adottarono la sua zampa come simbolo di creatività. Aveva fama di grande camminatrice ed è forse per questo che Federico II adottò per le sue truppe il “passo dell’oca” ed è forse per questo che il gioco ad essa dedicato ci aiuta a percorrere l’oscuro labirinto che è il simbolo drammatico del nostro tempo.
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“Una cosa diventa buona da mangiare solo quando è buona da pensare”. (Claude Lévi-Strauss) Obiettivo dell’esercitazione è quello di scegliere un tema legato agli atti alimentari e di costruire un “gioco dell’oca” nel quale si rifletta la sua storia culturale e cucinaria, le sue particolarità, ciò che in esso è permesso e ciò che in esso è proibito, la sua identità e le sue ragioni.
Gli studenti non di lingua italiana possono scegliere il loro paese di origine come argomento del tema.
Il gioco dell’oca deve essere realizzato su due fogli A3, uniti e cartonati e munito di istruzioni per il gioco.
Considerata la sua complessità la partecipazione all’esercitazione vale quattro punti per il vincitore, due punti per i successivi tre più selezionati.
Per chi ha già realizzato dieci esercitazioni la partecipazione, indipendentemente dal risultato vale due punti.
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