Food-Design

Planked fish – Pollo

27 gennaio 2009

Planked fish (pesce all’asse). È un modo di cottura dei pesci un tempo molto in voga negli Stati Uniti.  Occorre un’asse di quercia, di frassino, o di noce, dello spessore d’un pollice circa e più larga del pesce, che si possa inserire nel forno come uno scaffale.  Si prepara spesso la cheppia (un pesce simile alla sardina) con questo metodo, utile anche per qualsiasi altro pesce di carne bianca.  Strofinate l’asse con il sale ed iniziate la cottura quando il legno è ben caldo. Nel frattempo avrete  lavato, asciugato, imburrato e cosparso di sale e pepe il pesce stesso.  Taluni fanno precedere la cottura marinando il pesce in olio, succo di limone, sale e pepe per un’ora.  Sistemate il vostro pesce sull’asse, con la parte pelle a contatto con il legno, le fiamme più lontane possibile, ma inizialmente con un buon calore, continuando poi a fuoco moderato per una mezz’ora.  Abbiate cura di dare al pesce la sua forma naturale.  Il pesce va servito sull’asse stessa, che per facilitare il trasporto è munita di due anelli.  Si usa decorare l’asse con una purée di patate, con un disegno e l’assistenza di una sacca da pasticceria.  Sul pesce sistemate del prezzemolo, a parte servite una salsa appropriata o del burro à la maître d’hotel.

Lexicon: Planked Fish - Pollo

Plinio il Vecchio, naturalista è scrittore latino, nato a Corno l’anno 23 e morto a Napoli l’anno 79 durante la famosa eruzione del Vesuvio, mentre si prodigava nel tentativo di salvare una famiglia amica. Tra molte altre opere è autore d’una Storia Naturale, di cui una piccola parte soltanto è giunta sino a noi, sufficiente tuttavia per fornirci informazioni abbastanza precise sulla fauna, la flora e le consuetudini gastronomiche del periodo post-augusteo.

Plum, voce inglese che significa non soltanto prugne, ma, in senso figurato, anche una cosa pregevole.  A dispetto del nome il tradizionale plum-pudding non è fatto con le prugne, ma con fior di farina, briciole di pane, sostanze grasse, uva passa e canditi.  (Vedi in questo sito l’articolo dedicato ai pudding.)

Poiré (da poire, pera) è una bibita fermentata, oggi molto rara e costosa, che si produce nel Nord della Francia, soprattutto in Normandia, con il succo di un tipo particolare di pere, ha qualche analogia col sidro di mele.

Poivrade, sauce.  Famosa salsa francese, la cui caratteristica è rappresentata da una quantità relativamente elevata di pepe: perciò il suo nome.  Per prepararla aggiungete ad un rouxscuro un cucchiaio di aceto, scalogno, prezzemolo, timo, lauro, tutto ben tritato, nonché sale. Fate cuocere per una ventina di minuti, allungando la salsa, ove occorra, con del vino bianco secco. Verso la fine aggiungeteci il pepe schiacciato nella quantità corrispondente alle possibilità ed esigenze del vostro palato.

Pökelfleisch è il termine tedesco per indicare la carne salmistrata, molto usata in Germania ed anche nell’Alto Adige, specialmente carne di manzo (gepökeltes Rindfleisch). Questa carne in salamoia ha ispirato a Wolfgang Goethe (1749-1832) un verso delle poesie Epigrammatisch: Begeisterung ist keine Heringsware, die man einpökelt auf einige Jahre (…l’entusiasmo non è un’aringa, che si conserva in salamoia per alcuni anni).

Poleinta inciuldèda.  Specialità di Carpi (Emilia).  E una polenta con fagioli lessati, che hanno il compito di « inchiodare » la polenta.

Polenta, è in genere un intriso di farina di granturco, come pure di castagne o di semi diversi, come per esempio il lino; ma, senz’altro predicato s’intende di granturco (mais).  La polenta, in Italia, costituisce ancora l’alimento principale di molta gente.  Quanto all’origine della parola vedi, puls e pulmentarium.  In un litro d’acqua bollente, salata con 1quindici grammi di sale, fate cadere a pioggia un quarto di chilo di farina di granturco, rimestando senza interruzione per una mezz’ora.  Possiamo dire che convenientemente preparata la polenta può far fronte alle esigenze dei più raffinati buongustai.  Pochi lo sanno, ma era il piatto prediletto di Napoleone.  Variazione americana. Al posto dell’acqua, metà acqua e metà latte, poi, burro e parmigiano grattugiato.  Si serve con salsiccine brasate e salsa di pomodoro fresco. 

Lexicon: Planked Fish - Pollo

Batuffoli al sugo (cucina genovese). Preparate una polenta abbastanza densa e con un cucchiaio disponete tante polpettine una accanto all’altra, cospargendole di parmigiano ed innaffiandole di un buon sugo.  Queste costituiranno il primo strato, sul quale formerete il secondo, con lo stesso sistema, e così continuando, fino a formare una piramide.  Operate rapidamente, affinché la polenta non si raffreddi. Servite subito.  Con i tordi od altri uccellini. Con la polenta, preparata come sopra, formate un “letto” e con la parte convessa d’un cucchiaio scavateci delle fossette concave, in cui adagerete gli uccellini semicotti. Terminate la cottura dell’assieme al forno.  Timballi di polenta.  La polenta si presta ottimamente per costituire la crosta d’un timballo.  Preparate la polenta nel solito modo, riempite uno stampo a pareti lisce, abbondantemente imburrato.  Riscaldatela a bagnomaria, poi lasciatela raffreddare e sformatela.  Con un coltello affilato recidete il coperchio, d’uno spessore di un centimetro e mezzo, poi, con un cucchiaio fate un vuoto in mezzo da riempirsi con la pasta da timballo e, soprattutto, con i maccheroni.  Pasticciata. È uno dei grandi piatti della cucina milanese.  Alla polenta tengono compagnia salumi, carni, burro, formaggi, funghi, il tutto intriso da intingoli, di cui ogni cuoco possiede il segreto. La cottura si termina al forno, le migliori finiscono con un tetto di tartufi.  Alla Bolognese. Pasticciata col ragù di carne.  Polenta nera. Alla farina di granturco si aggiunge quella di grano saraceno.  Si cucina nel Trentino, nell’Alto Adige, localmente chiamata Schwarzplent, nel Valtellinese, polenta taragna, dove si prepara pure la polenta in fiur econ la panna, al posto dell’acqua. Fiurè voce dialettale per fiore.  Brustolà,della cucina veneta.  Anch’essa è una pasticciata, con pancetta, fegatini, rigaglie e prosciutto. Finisce al forno, perciò il termine di brustolà, arrostita.  Per finire, un detto di Epicuro, riferito da Seneca, che potrebbe essere affisso in molte case italiane: Da mihi polentam et aquam et cum Jove ipso de felicitate contenderim (dammi polenta ed acqua e sarò un emulo dello stesso Giove, quanto alla felicità). Non importa che la polenta, allora, fosse un bollito d’orzo…

Pòlipo (fr. poulpe, ingl. poulp, ted. (achtarmiger) Polyp) è un termine generico che indica i molluschi cefalopodi, ottopodi, ed in particolare, gastronomicamente parlando, il tipo comune delle nostre coste, l’Octopus vulgaris, animale dotato d’una rara intelligenza, che afferra le sue vittime con le otto braccia, o tentacoli, armati di ventose. Se sono veri i racconti, il polipo si maschera dei resti dei suoi pasti per afferrare più facilmente una nuova preda. Manca dell’osso dorsale della seppia. È chiamato anche piovra.  La carne del polipo è coriacea ed esige una preparazione preventiva. Lavatelo innanzi tutto lungamente all’acqua corrente, eliminate pelle, occhi, bocca e vescichetta, parti inutilizzabili. Battetelo poi con un bastone per rammollirne le fibre o, meglio, sbattetelo sul marmo dei gradini di una chiesa, porta fortuna.  Poi, ritagliate in pezzi regolari i tentacoli ed il mezzo.  Sbianchi telo nell’acqua bollente qualche istante.  Asciugatelo, poi rosolatelo nell’olio con della cipolla trinciata, sale e pepe.  Aggiungeteci del pomodoro pelato e schiacciato (o della purea di pomodoro fresco).  Quando si sarà liquefatto, aggiungeteci un buon bicchiere di vino bianco secco, con uno spicchio d’aglio schiacciato.  Coprite il recipiente e continuate la cottura a fuoco moderato, a lungo, sino all’intenerimento del polipo.  Se invece volete friggerlo, oppure cuocerlo in frittelle, interrompete la cottura sopra descritta a tre quarti e terminate la cottura, friggendo oppure in frittelle, secondo il solito sistema.  Riso alla provenzale. Seguendo la ricetta preliminare ed aggiungendo a tre quarti di cottura un quantitativo corrispondente di riso con una presina di zafferano, continuate a cuocere, presumibilmente per un’altra mezz’ora a fuoco lento.

Lexicon: Planked Fish - Pollo

Pollione, Vedio, ricco signore romano, si dice crudele verso i suoi schiavi.  Visse ai tempi di Augusto. Fu punito per aver gettato un suo schiavo nel vivaio delle murene. L’episodio, però, non è storicamente provato da documenti.

Pollo (fr. pouletper pollo, poussinper pulcino, poulardeper pollastra, poule per gallina, chaponper cappone.  Ingl. chicken, per pollo, chickper pulcino, pulletper pollastra, henper gallina, caponper cappone.  Ted. Huhnper pollo, Kuchleinper pulcino, Masthuhnper pollastra, Henne per gallina e Kapaunper cappone).  Sotto questa voce raggruppiamo il ricettario delle varie età del gallo e della gallina domestica (Phasianus gallus), una voce che abbraccerà il pulcino, il pollo, il gallo di primo canto, la pollastra e la gallina, giacché il pollo è gastronomicamente il più interessante.  La cucina francese inserisce tra pulcino e pollo anche un poulet de graine.  Altro componente della famiglia è il cappone, giovane gallo castrato, che viene poi metodicamente ingrassato.  S’ignora quando ed in quali condizioni si sia riusciti ad addomesticare quest’uccello, il più importante tra il nostro pollame di cortile. È caratterizzato da una vita familiare molto simile a quella dei cattolici.  Ogni pollaio rappresenta un’unità, c’è la chioccia, ottima madre, il gallo difensore della famiglia, padrone del pollaio, dalla vita poligama, sino a trenta galline per un gallo. Le Sacre Scritture lo ignorano, tranne il canto del gallo, che richiama San Pietro. Più frequenti sono le citazioni latine. Ovidio scrive, Cucurrire solet gallus, gallina gracillat.  C’è poi la celebre frase nelle Metamorfosi: Post coitum onme animal triste, praeter gallum qui cantat.  Il pullariusera l’aruspice incaricato di curare i polli sacri e di trame gli auspici, esaminandone le viscere, probabilmente se li mangiava a cerimonia finita, come gli epulonesUn gallo figura sull’elmo di Minerva ed è considerato il simbolo della risurrezione dei primi cristiani.  Come tale figura su molte tombe.  Nel Medioevo il gallo assurse ad emblema della vigilanza.  È in quest’epoca che risale l’uso di un gallo di ferro sui comignoli, come banderuola.  Celebre è pure la promessa di Enrico IV, di un pollo domenicale garantito a tutti i Francesi, una promessa di prosperità.  Oggi il gallo è l’emblema della Francia, memore della Gallia romana.  L’età del maschio si conosce dallo sperone.  Se è poco sporgente, l’animale è giovane.  Altrimenti è vecchio e non si presta per l’arrosto.  Occorre un intervallo di almeno due giorni dall’uccisione del pollame all’arrivo in cucina.  Appena ucciso bisogna spennarlo e vuotarlo per evitare che le interiora conferiscano un cattivo sapore alla carne.  Vuotato l’animale, strinateloper far scomparire peli e piume, evitando di far annerire la carne.  Valetevi eventualmente della fiamma del fornello a gas.  Modo di vuotare il pollame. Tagliate la pelle del collo, da un lato, e strappate un budello che giunge sino ad una tasca, che si trova alla base del collo, tasca che toglierete. Fate poi una incisione su un lato, sotto la coscia, per prendere gli intestini, il fegato ed il ventriglio. Bisogna pure togliere il fiele attaccato al fegato. Abbiate cura di non bucare il fiele, altrimenti il fegato non sarebbe più mangiabile. Se, per inavvertenza, vi capitasse di bucarlo, lavate l’interno con acqua tiepida.  Spennato, vuotato e strinato il pollame, premete fortemente sull’osso sporgente che si trova sotto il ventre, per ottenere una migliore forma.  Rimettete il fegato all’interno, poi, un po’ di sale e pepe e ricucite la fessura.  Per sistemare il collo, spostate con una leggera pressione l’ala corrispondente, in modo che questa si trovi sul dorso dell’animale, poi provvederete ad imbrigliarlo.   

Lexicon: Planked Fish - Pollo

Modo d’infilare lo spiedo. Infilatelo dal groppone, così che attraversi tutta la lunghezza ed esca alla nascita del collo. Lo spiedo è munito a metà lunghezza d’un buco, che farete attraversare da una spranghetta, la quale penetrerà nella coscia, passerà attraverso il buco ed uscirà dall’altra coscia. Con questo sistema la posizione dello spiedo sarà consolidata.  Ricette del pollame in genere. Arrosto. Lasciate una parte delle zampe, allungandole. Imbrigliate. Mettete il pollame a fuoco vivo, e dopo cinque minuti di cottura spalmate il pollame d’uno strato leggero di burro, rimettendolo al fuoco ed irroratelo spesso con il burro fuso.  Tre quarti d’ora per un pollo di grandezza ordinaria, un’ora almeno per un cappone od una pollastra.  Quando l’animale comincia a fumare, è cotto.  Togliete la spranghetta, spiedo e spago, versate il fondo della leccarda in una salsiera, dopo averlo deglassato e servitelo su un letto di crescione.  Blanguette de volatile (cucina francese). Scalcate il pollame arrosti telo.  Quando la salsa è pronta, immergete i vostri pezzi, scaldate senza ebollizione e servite.  Pollame in mayonnaise. Cotto in qualsiasi modo, utilizzate i resti freddi, ritagliandoli in forme regolari e servite in o con una salsa mayonnaise.  Pollo in casseruola. Preparato ed imbrigliato il pollo, mettetelo in una casseruola contenente una buona quantità di burro (per un pollo di media grandezza, tre cucchiai) od un buon grasso e fatelo rosolare.  Quando è dorato, provvedete al sale e pepe.  Coprite e fatelo cuocere per un’ora ed un quarto circa, a fiamma bassa. Abbiate cura di girare il pollo di quando in quando, lasciandolo riposare soprattutto sulle cosce, che sono le più lunghe a cuocere.  Servite, deglassate il fondo, allungandolo ove occorra con dell’aceto e zucchero, e versatelo sul pollo.  Fricassea di pollo. Prendete un pollo, possibilmente giovane, spennatelo, vuotatelo e poi sezionatelo, scalcando prima le cosce, poi le ali.  Del solo dorso potete fare tre o quattro pezzi.  Immergete questi pezzi per un’ora nell’acqua tiepida, allo scopo di sbianchirli, o nel latte, nel frattempo preparate una salsa come segue: in una casseruola, con farina e tre noci di burro preparate un rouxchiaro, aggiungeteci due bicchieri di acqua calda, rimestate, regolate il sale e il pepe e condite con un mazzolino aromatico.  In questa salsa mettete i pezzi di pollo e continuate la cottura a fuoco moderato, con l’aggiunta d’una dozzina di cipolline.  Potete aggiungere facoltativamente, un quarto d’ora prima di servire, dei funghi scottati in acqua bollente per evitare che la salsa prenda un colore bruno inopportuno, inconciliabile con la preparazione alla fricassea.  La cottura richiede un’ora circa.  Quanto alla salsa, conviene sgrassarla innanzi tutto, poi legarla con un tuorlo d’uovo.  Quest’amalgama va eseguita lontano dal fuoco ed a salsa leggermente raffreddata.  Aggiungeteci anche il succo di mezzo limone. Versate la salsa sul pollo e servite.  Pollo saltato. Fate fondere tre noci di burro in una casseruola ed aggiungete i pezzi di pollo, sezionati, rosolandoli.  Cospargete il tutto di farina che mescolerete al burro bagnando con mezzo bicchiere di vino bianco secco. Sale e pepe quanto basta, qualche cipollina, preventivamente rosolata in un tegame.  Smuovete di continuo i pezzi di pollo. Cuociono in tre quarti d’ora.  Pollo al dragoncello.  Tritate qualche pelucco di dragoncello ed introducetelo nel corpo del pollo, che ricucirete poi.  Imbrigliatelo con qualche fettina di lardo. Preparate poi un court-bouilloncome segue: in una casseruola con dell’acqua mettete sale, pepe, un mazzolino aromatico, due carote ed una cipolla, tutt’e due affettate, e qualche ramoscello di dragoncello.  Fate bollire e, ad ebollizione ottenuta, sistemateci il pollo, che, se tenero, richiederà un’ora di cottura.  Quanto alla salsa, preparatela nel modo seguente: quattro o cinque cucchiai del court-bouillondi cottura del pollo, due piccole cucchiaiate di fecola stemperate a parte con un po’ d’acqua, che mescolerete in un tegamino, travasate su un piatto, sul quale porrete il pollo cui avrete levato le fettine di lardo e che dovrà apparire molto bianco.  Pollo alle olive.  Le olive si prestano bene come contorno di pollo. Snocciolatele, senza deformarle e ritagliatele a spirale.  Poulet Marengo (cucina francese). Sembra che questa pietanza rappresenti un’improvvisazione del cuoco di Napoleone, dopo la vittoria sugli Austriaci il 14 giugno 1800, a Marengo.  Ingredienti: un pollo sezionato, quattro cucchiai d’olio di oliva, uno spicchio d’aglio, sale, pepe, prezzemolo, una cipolletta, due scalogni, vino bianco e funghi. (Secondo gli storici della cucina, nella ricetta originale figuravano gamberetti al posto dei funghi). Sale, pepe, aglio in un tegame con dell’olio di oliva, che scalderete.  Poi, in esso, caldissimo, collocherete i pezzi del pollo, lasciando che prendano colore, il che richiederà circa tre quarti d’ora.  Tritate i funghi e gli ortaggi indicati e collocateli in un tegame a parte, con un bicchiere di vino bianco secco, fate bollire ed aggiungete due cucchiai dell’olio di cottura. Rimestate la salsa e versatela sul pollo, disposto sul piatto di servizio.  Gallina al riso. Preparate un court-bouilloncome segue: mettete in una casseruola tant’acqua quanta occorre per coprire la gallina, con sale, pepe, prezzemolo e un mazzolino aromatico, due spicchi d’aglio, una carota ed una cipolla affettata.  Fate bollire per mezz’ora.  Poi vi collocherete la gallina strinata, vuotata ed imbrigliata.  Contate da quattro a cinque ore di cottura a fiamma regolare.  Un’ora prima della fine, aggiungeteci settecento grammi di riso. Servite il riso su un piatto fondo e sopra la gallina slegata e sezionata. 

Esercitazione 7 – 2008-09

18 gennaio 2009

IED – Sociologia – Anno accademico 2008-2009.

Tema dell’ottava esercitazione.
LA CITTÁ E LA FLÂNERIE.
Con che occhi la guardiamo, con quali orecchie l’ascoltiamo, con quale cuore l’amiamo.
(Dal cartello stradale che l’annuncia alla saponetta sulla mensola del bagno di una camera d’albergo.)
***
Traccia per l’esercitazione.

“Non sapersi orientare in una città non vuol dire molto. Ma smarrirsi in essa, come ci si smarrisce in una foresta, è una cosa tutta da imparare.
(Walter Benjamin, Infanzia Berlinese.)

Ci sono due modi per scoprire ciò che crediamo di conoscere di una città. Di vederla improvvisamente con altri occhi. Il primo lo dobbiamo a Charles Baudelaire e alla sua figura del “flâneur”, di colui che passeggia senza uno scopo, che non sia quello di gustarne l’umore, le tensioni, le ombre, la bellezza. Il secondo è quello che Walter Benjamin elaborò a partire da Baudelaire, di usare l’osservazione come strumento di analisi del fenomeno urbano, come rivelatore della dinamica degli stili di vita che l’attraversano disegnandola nell’immaginario collettivo. Un punto di vista che non è assolutamente quello del turista o del viaggiatore, distratto dai suoi scopi, ma di colui che, per parafrasare il titolo di un libro di Alberto Savinio, ascolta della città il cuore, per coglierne le sue inquietudini, le sue passioni, le tensioni culturali e sociali, il loro acquietamento civile, la sua identità estetica.

L’essere “qui” non basta ad orientarsi, smarrirsi è un processo che in molte culture è carico di significato.
Orientarsi è conoscere. Perdersi per orientarsi è il sentiero che porta all’ambientarsi. Per arrivare “in centro” ci sono margini e soglie da oltrepassare, cul-de-sac da evitare, direzioni da definire.
In genere i cittadini possono perdersi in due modi. Perché sono in un ambiente urbano che non conoscono, perché lo conoscono troppo bene. Per questo occorre saper interrogare le strade e le piazze, ascoltare quello che dicono gli edifici sull’identità e i sogni degli uomini che li abitano.
Nei luoghi che ci sono sconosciuti occorre per prima cosa, orientarsi. Annodare trame, leggere mappe, consultare bussole, adattarsi al sistema di coordinate preesistenti, soprattutto, è necessario avere una meta.
Lo straniero in una città è costretto ad apprendere a sue spese quali sono le sue relazioni spaziali, le direzioni, i percorsi, i movimenti concepiti, il linguaggio del qui, del giù, del su, dell’avanti, del dietro, di a destra, a sinistra, del nord, del sud, dell’est, dell’ovest.
+++
Scopo dell’esercitazione è di descrivere, per conoscerla, una città, prima vista da lontano, appena le cime dei suoi edifici più alti la fanno intravvedere e un cartello stradale l’annuncia, per penetrare in essa fino alla sua traccia più segreta, quella che scopriamo sulla mensola davanti allo specchio del bagno in una camere d’albergo.

Questa esercitazione può essere realizzata o con una serie di fotografie in bianco e nero, o con un filmato o con una colonna sonora o, infine, intrecciando queste tecniche in un video.
In via del tutto eccezionale ci saranno due modalità di giudizio per l’aggiudicazione dei tre punti. La prima prenderà in considerazione l’abilità tecnica e la complessità con la quale l’esercitazione è stata realizzata.
La seconda prenderà in considerazione l’abilità espressiva, la forza dei rilievi creativi, le capacità evocative.

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La citta e la flanerie

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Pesto – Placenta

17 gennaio 2009

Pesto, (da pestare, pestato, pesto), è una tipica salsa piccante della cucina genovese, con la quale si condiscono al magro lasagne, tagliatelle, gnocchi e minestrone. Riunite in un mortaio (morta) tre spicchi d’aglio (aggio) nettati, qualche foglia di basilico ligure (baxaicò) fresco, un pezzetto di formaggio olandese, di parmigiano o di pecorino, grattugiati.  Pestate e riducete il tutto ad una specie di impasto, che scioglierete con abbondante olio (eujo), non senza aver aggiunto prima qualche cucchiaiata di acqua (egua) bollente.  Per conservare al basilico anche nei mesi invernali la fragranza estiva occorre cogliere le foglie, eliminando il gambo, lavarle, asciugarle, collocarle nell’olio in un vaso sigillato.  Piccagge col pesto (cucina genovese).  Nel dialetto genovese le piccagge sono lasagne, anziché quadrate, lunghe circa cinque o sei centimetri. Cotte nell’acqua salata  e  sgocciolate,  si  condiscono col pesto e il parmigiano grattato. 

Il labirinto

Petit suisse, contrariamente al nome, non è un formaggio originario dalla Svizzera, ma dalla Normandia, preparato con latte intero e l’aggiunta di un quinto del volume di panna. Il tipo Gervais è considerato tra i migliori.   Oggi si fabbrica un po’ dappertutto. 

Pettorali, frutti pettorali. Nella vecchia farmacopea erano considerati pettorali ed usati nelle affezioni polmonari. Ricordiamo tra di essi, i datteri, le giuggiole, i fichi e l’uva di Corinto, in forma di decozione.

Pevarà è il nome di un’antica preparazione padovana, consistente in midollo di ossa di manzo, cotto al burro.  Siccome la dose di pepe, con la quale si condisce, è abbondante, da cui il nome del piatto.

Peverada è il nome d’una salsa della cucina veneta, originaria da Vittorio Veneto, consiste in salame e fegato di lepre, triturati insieme, passati al setaccio e soffritti nel burro con un po’ d’olio e molto pepe.

Philtrum quo vincere mulierem era l’esclamazione liberatoria che accompagnava gli afrodisiaci, in particolare quelli a base di tartufi, nelle mense dell’antica Roma. 

Piballes, termine usato specialmente in Bretagna, per indicare una specie di giovani anguille.

Piccante, salsa (fr. sauce piquante, ingl. sharp sauce).  Mettete in una teglia, pepe, scalogno, prezzemolo, aceto, un pezzetto di burro.  Fate fondere a piccolo fuoco.  A questa salsa aggiungete un roux, scuro ma non troppo, continuando la cottura, sempre rimestando.  Al momento di servire, completate la salsa con cetriolini affettati.  Le proporzioni dei singoli ingredienti, che compongono questa salsa, destinata soprattutto ad accompagnare resti di manzo e maiale fresco, sono lasciate alla sensibilità di chi la prepara. 

Piccioni (fr. pigeon, ingl. pigeon, ted. Taube).  Nelle scienze leccarde sotto questa voce si raggruppa la grande famiglia dei Colombiformi, che comprende i colombi propriamente detti, i piccioni, le tortore e le palombe (colombi selvatici).  È stragrande il numero delle varietà (il solo tipo piccione ne conta più di settanta) che aumenta costantemente, in seguito agli incroci ed alle selezioni.  Il piccione, estremamente vorace, causa spesso dei danni ai raccolti.  D’altro canto ha molte qualità.  Ha, per esempio, un senso d’orientamento pronunciato ed i piccioni viaggiatori sono stati usati per trasmettere la corrispondenza.  Ritorna alla colombaia, anche se si è allontanato in cerca di cibo.  Quanto mai prolifiche, le femmine nutrono i loro piccoli, nati ciechi, imbeccandoli col cibo lavorato nel loro gozzo. Infine la loro carne, in particolare quella dei giovani piccioni, è eccellente. I piccioni sono gli unici uccelli, il cui fegato non contiene fiele.  Arrosto.  Spiumato, sventrato, strinato, salato e leggermente pepato, nonché lardellato, fatelo arrostire a fuoco vivo, usando un buon fondo o un brodo per bagnarlo.  Vi ritroverete nella leccarda un ottimo sugo.  Brasato (ricetta per esemplari adulti).    Conditelo con metà burro e metà strutto in una casseruola e un pugnetto di prosciutto a dadini. Fatelo rosolare, bagnatelo con un bicchierino di vino bianco.  Cuoce in quaranta minuti.  Servitelo su crostini guarniti di bacon passato in padella. Siate parchi nel condimento di sale e pepe, data la presenza del prosciutto e del bacon.  Potete accompagnarlo con il succo di un limone. 

Il labirinto

Con i piselli. Fate rosolare nel burro caldo i piccioni, preparati ed imbrigliati. Ritirateli, mantenendoli al caldo.  Al loro posto mettete del lardo, che farete rosolare. Ritirate il lardo e fate cadere nel fondo, a pioggia, della farina setacciata. Appena questa avrà preso colore, aggiungeteci il brodo, del prezzemolo tritato, un mazzolino aromatico, sale, pepe, il lardo preesistente, ed i piselli. Quando questi saranno cotti a metà, ricollocateci i piccioni.  La cottura, a fuoco dolce, durerà un’ora e mezza.  A la crapaudine.  Preparati i piccioni, apriteli dall’estremità dello stomaco sino alle ali, quindi senza separare le due parti, vuotateli e spianateli leggermente. Spalmateli di olio o burro chiarificato, sale e pepe, fateli dorare sulla griglia a fuoco dolce, da tutte e due le parti.  Serviteli con una salsa piccante.  Ripieni.  Preparato ed aperto il piccione, togliete il fegato, che taglierete a pezzettini, unendovi del lardo, della mollica di pane, funghi (o tartufi), sale, pepe, passate il tutto al setaccio e legate con un paio di tuorli d’uovo.  Con questo ripieno guarniteci petto e ventre.   Mettete in forno, bagnando con del brodo e del vino bianco.  Usate il liquido di cottura come salsa, dopo averlo fatto ritirare ed ammorbidito con un po’ di burro.  Pigeon’s pie (Piccione pasticciato, cucina inglese). Ingredienti: due piccioni, mezzo chilo di manzo preso dal culaccio (rumps-teak), un quarto di chilo di prosciutto o di bacon magro, mezzo litro scarso di un fondo chiaro, due uova sode, un tuorlo d’uovo, sale, pepe, della pastella.  Tagliate i piccioni in quattro o più pezzi, a seconda della loro grandezza, poi il manzo in fette sottili, il prosciutto (od il bacon)in listerelle, le uova sode in quarti. Collocate tutto in un tegame, alternando a strati e condendo.  Aggiungeteci il fondo in modo da riempire il tegame a tre quarti.  Coprite con la pastella, che dorerete con il tuorlo.  Collocate  i piccioni in un forno caldissimo e quando la pastella comincerà ad alzarsi, riducete la temperatura e proseguite la cottura per un’ora circa, dopo aver realizzato un camino nel mezzo della pastella.  Prima di servire, versate il resto del fondo attraverso il camino.  Il pie può essere consumato tanto caldo, quanto freddo.  In questo caso si sarà formata all’interno una specie di gelatina.

Picodon, è un formaggio del Delfinato, prodotto con il latte di capra, semi-stagionato.  Il suo nome in dialetto significa pungente.

Pilau o pilafi è il nome sardo di un risotto, che si condisce con il sugo d’aragosta, di capretto o d’agnello. L’origine turca del nome è manifesta.

Pilota, risotto alla pilota, così si chiama nel mantovano e nel veronese il riso cotto nell’acqua con carne di maiale tritata o costine.  “Pile” era il nome popolare delle riserie.

Piochons, termine usato specialmente nella Languedoc, per indicare i cavoli verdi.

Piperade, pietanza della Francia meridionale.  Consiste di pomodori e di peperoni, cotti insieme, a cui si aggiungono gradatamente delle uova per ottenere un assieme spumeggiante.  Si profuma con l’aglio e la noce moscata.  Si possono aggiungere anche dei dadini di prosciutto. 

Il labirinto

Piramide, montare un cibo a piramide, significa presentare una pietanza di piccole dimensioni, come scampi, gamberetti o piccola frutta (albicocche), a piramide, cioè a scalini decrescenti verso l’alto.  I Francesi chiamano questo genere di allestimento monter en buisson.

Pisello (Pisum sativum, fr. pois oppure petits pois, ingl. Peas,ted. Erbse, fiamm. e ol. Erwt, dan. Havevert, spagn. Arveja, port. eivilha), leguminosa rampicante, con un fiore bianco e baccello allungato, contenente semi rotondi verdi, detti anch’essi piselli (v. taccole).  I piselli fanno indubbiamente parte dell’aristocrazia delle verdure. La frase, attribuita a Madame de Maintenon, moglie morganatica di Luigi XIV, ne consacra la nobiltà: L’impazienza di mangiarli, il piacere di averli mangiati e la gioia di mangiarli ancora, costituiscono i tre argomenti preferiti dai nostri principi loquaci.  Devono sempre essere freschi.  Un’ora dall’orto alla tavola, recita un proverbio inglese, esagerando. Per di più, dovrebbero essere primaticci, piccoli e teneri. Qui interviene un proverbio francese: Bisogna mangiare i piselli con i ricchi e le ciliege con i poveri. Significa che i piselli vanno mangiati come primizie, quando sono cari, e le ciliege in piena maturità: allora sono a buon mercato ed a portata di tutte le borse.  Lavate sempre accuratamente il baccello prima di aprirlo, mentre è inutile lavare i piselli dopo sbucciati, perché ermeticamente protetti dall’involucro, che impedisce l’entrata di germi o polvere. E come voler lavare una banana, dopo averla spellata. Rinfrescate i baccelli avvizziti, che dimostrano una certa età, con un bagno d’acqua fredda e sbucciateli non prima dell’inizio della cottura.  Si può aggiungere qualche buccia durante la cottura per aumentare la fragranza dei piselli.  Incominciate la cottura ad acqua bollente, col recipiente scoperchiato, per mantenerne il bel colore verde.  La bollitura deve essere a fuoco moderato.  Se i piselli sono maturi, aggiungeteci una presa di zucchero.  Taluni cuochi, in Francia ed in Inghilterra, aggiungono un ramoscello di menta, considerando una certa affinità d’aroma tra le due piante.  Ai giovani piselli aggiungerete il sale solamente quindici minuti dall’inizio della cottura, raggiunto cioè lo stadio di quasi tenerezza, e poi continuate la cottura per altri cinque minuti.  Se disponete di piselli conservati in scatola, non fate mai uso del liquido di conserva per bollirli, ma sempre d’acqua fresca e bollente.  All’inglese. Vanno bolliti nell’acqua salata bollente, scolati ed asciugati, tenendoli in un tegamino per qualche minuto sopra un fuoco vivo. Serviteli in piramide, burro fresco a parte.  Al burro. Come da ricetta precedente, con poco sale nell’acqua bollente. Asciugati, cospargeteli di una presa di zucchero ed aggiungete un po’ di burro fuso, non troppo caldo, mescolandovi i piselli, lontano dal fuoco.  Purée Saint Germain. Fateli bollire nell’acqua bollente, con una presa di sale ed una di zucchero, tant’acqua quant’occorre per coprirli.  Aggiungete all’acqua una foglia di lattuga ed un ramoscello di prezzemolo, legati assieme.  Terminata la bollitura scolateli e passateli al setaccio.  Continuate la bollitura del liquido di cottura per condensarlo.  Rimettete la purea sul fuoco, aggiungendoci il liquido di cottura, ridotto quasi ad una crema, ed un pizzico di zucchero.  Con la menta. Come all’inglese od al burro, aggiungendo all’acqua bollente un mazzolino di menta fresca.  Creamed peas (alla panna, cucina inglese).  Come da ricetta precedente, aggiungendo alla fine un po’ di prezzemolo tritato e della panna, rimettendo sul fuoco e mescolando, senza far bollire la panna.  Erbsen mit Schinken (piselli con prosciutto, cucina tedesca). Bollite come all’inglese, aggiungeteci del prezzemolo già cotto e tagliuzzato nonché del prosciutto (cotto o crudo), tagliato a dadini, cospargete con un po’ di farina, bagnate il tutto con il liquido di cottura o con un brodo leggero, rimettete sul fuoco affinché si amalgami.

Il labirinto

Pissala, (da pesce) voce provenzale per una salsa che spesso si trova già pronta in commercio. Si produce facendo salmistrare gli avannotti di pesce, in particolare di acciughe, per otto giorni, al sale.  Si passano poi allo staccio, si allunga la purea così ottenuta con qualche goccia della salamoia, si aromatizza con chiodi di garofano, si imbottiglia e si conserva al fresco. Si può usare al naturale od allungata con l’olio.

Pissaladeira, voce provenzale per denotare  una  specie  di  torta,  guarnita di olive nere, di cipolle e di filetti di acciughe (pissala).

Pistacchio (Pistacia vera, fr. pistache, ingl. pistachio, ted. Pistazie) è il frutto del pistacchio selvatico, chiamato Pimpernuss, pianta arborea della Anacardiacee, dalle foglie pennate, isolate ed alterne, dai piccoli fiori, raggruppati in grappoli e dai frutti contenente un seme, che pure si chiama pistacchio.  Si dice che la pianta sarebbe stata importata a Roma dal gaudente Vitellio. Quin et amygdaleos subeant pistacia ramos.  Comunque sia, è oramai diffuso e coltivato in tutta la regione mediterranea.  Si usa come condimento, nella confetteria, nella pasticceria e nella preparazione dei salumi. Gli americani amano molto la pistachio ice cream.  Per pelare i pistacchi immergeteli nell’acqua fredda, contenente un po’ di sale che ne mantiene il colore. 

Pistou, voce francese che corrisponde grossomodo al pesto genovese, di cui si fa largo uso nella Provenza.

Pizzaladiera, cucina ligure, in particolare d’Imperia, è una specie di torta di pane, impastata con l’olio, spalmata di pasta d’acciughe, coperta di cipolle, aglio, olive nere, che va cotta al forno.  È chiamata anche piscialandrea, o piscialandrera: si fa derivare il nome dalle preferenze culinarie di Andrea Doria, mentre non sono spiegati… gli effetti diuretici sulle necessità fisiologiche del condottiero.  Questa specie di pizza è una pietanza abbastanza comune anche a Nizza, dove è chiamata Pissaladière, e siccome i nizzardi vogliono avere la loro rivincita sulle pretese storiche dei liguri, fanno risalire la loro Pissaladière nientemeno che alla vittoria dei Fenici sui Liguri ed alla fondazione della loro città, Nicaea, da nike, vittoria, poi Nice.

Pizzutello è il nome dell’uva dai chicchi lunghi e curvi. Si dice anche corniola o galletta, perché assomiglierebbe ai testicoli del gallo. 

Placenta era nell’antica Roma una schiacciata grande e sottile, di farina, formaggio e miele, molto popolare.